Gli Usa arrestano lady Huawei. E crollano le Borse mondiali

Chiusa la querelle sui dazi, la mossa riapre lo scontro L'accusa: "Faceva affari con l'Iran, aggirate le sanzioni"

Gli Usa arrestano lady Huawei. E crollano le Borse mondiali

Proprio mentre Donald Trump e Xi Jinping raggiungevano una tregua commerciale di fronte alle portate argentine della cena post-G20 di settimana scorsa, in Canada veniva arrestata una dei top manager di Huawei, il gigante cinese delle telecomunicazioni, già da tempo nel mirino della Casa Bianca. Meng Wanzhou, direttrice finanziaria del gruppo nonché figlia del fondatore Ren Zhengfei, è stata fermata a Vancouver il 1° dicembre su richiesta degli Stati Uniti, che ne pretendono l'estradizione. È prevista per oggi l'udienza che stabilirà se nel frattempo Meng può essere rilasciata su cauzione.

Il fatto che ci siano voluti cinque giorni prima che il ministero della Giustizia canadese diffondesse la notizia dell'arresto fa intendere la delicatezza del caso. E fa sorgere il dubbio se Trump stia facendo il doppio gioco con la Cina, rimandando l'imposizione dei dazi ma poi colpendo una delle maggiori società del Dragone, o se piuttosto non abbia le idee poco chiare sulla strategia da seguire. Meng, 46 anni, al lavoro in Huawei dal 1993, sarebbe accusata di aver violato le sanzioni statunitensi nei confronti dell'Iran. Di presunti affari tra il gruppo e Teheran scriveva già nel 2010 Reuters: secondo l'agenzia Huawei, attraverso un gruppo basato a Hong Kong nel cui consiglio di amministrazione tra 2008 e 2009 sedeva la stessa Meng, avrebbe venduto tecnologie al principale operatore di telefonia mobile iraniano, la Mobile Telecommunication Company of Iran. Il gruppo cinese ha sempre negato, come ha di nuovo fatto ieri. Aggiungendo di non sapere su che basi sia stata arrestata la manager. Il governo di Pechino ha chiesto a Canada e Usa di «chiarire immediatamente» le ragioni dell'atto: «Abbiamo presentato rimostranze formali a entrambi i Paesi chiedendo che liberino subito l'arrestata per proteggerne i diritti legali», ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri, Geng Shuang. Lo stesso addebito era stato mosso nei mesi scorsi nei confronti di un altro gigante tech cinese, Zte. Gli Usa sostenevano che il gruppo avesse violato le sanzioni nei confronti di Iran e Corea del Nord e avevano per questo messo al bando i prodotti Zte, salvo poi fare marcia indietro dietro la promessa del pagamento di una multa da un miliardo di dollari e del cambio in toto dei vertici dell'azienda.

Huawei e Zte sono finite nel mirino di Trump non solo in quanto ostaggi della guerra commerciale con la Cina, ma anche perché sospettate di porre un rischio per la sicurezza nazionale in quanto legate al regime di Pechino. A febbraio Fbi, Cia e Nsa hanno consigliato di boicottare i dispositivi e le apparecchiature delle due case: «Temiamo che possano condurre campagne di spionaggio non rilevabili», aveva allertato il direttore dell'Fbi, Chris Wray. Un invito al boicottaggio che - è notizia di due settimane fa - Washington avrebbe rivolto esplicitamente anche ai propri alleati, tra cui Germania, Italia e Giappone. Una serie di allarmi che ha creato un effetto valanga. Il gigante di Ren Zhengfei, infatti, prima di vendere smartphone e pc, è leader nella produzione di infrastrutture per le telecomunicazioni, business con cui opera in 170 Paesi al mondo. Eppure dall'inizio dell'anno è già stato escluso dalla progettazione della rete 5G, la connessione mobile di quinta generazione, in Australia e Nuova Zelanda, con Germania e Regno Unito che stanno pensando di fare lo stesso. In Italia - dove Huawei è coinvolta in diversi progetti di sicurezza e smart city e dove sta sviluppando il 5G nelle aree di Milano e Bari-Matera - il Copasir, Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, sta valutando la situazione.

L'arresto di Meng, nonostante Huawei non sia quotata, ha già affossato le Borse di mezzo mondo.

Ieri i principali indici europei hanno chiuso con perdite tra il 3 e il 4%: Piazza Affari ha riportato una flessione del 3,54% per il Ftse Mib, tornando ai minimi da due settimane. Francoforte ha terminato la seduta a -3,48%, Parigi a -3,3%.

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