Fa impressione apprendere che il consigliere per la sicurezza nazionale israeliano si è rivolto al suo omologo americano per chiedergli di non intervenire nella questione aperta dagli scontri a Gerusalemme. Un intervento internazionale, ha detto in una telefonata che immaginiamo accorata Meir Ben Shabbat al collega Jake Sullivan, farebbe solo il gioco dei rivoltosi palestinesi che puntano a rivedere Israele messo sotto pressione. Chissà se a Washington lo ascolteranno.
La festa è proprio finita. Per quattro anni, con Donald Trump alla Casa Bianca, Benjamin Netanyahu aveva potuto contare su una specie di sogno diventato realtà: ogni sua richiesta veniva accolta con entusiasmo, dal ritiro degli Stati Uniti dal negoziato sul nucleare con l'Iran al trasferimento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme, dalla pressione americana su quattro Paesi arabi per normalizzare i rapporti con Israele fino al riconoscimento della sovranità dello Stato ebraico sul Golan annesso unilateralmente nel 1981. Per non parlare di un piano di pace americano (il mai attuato «accordo del secolo») tra israeliani e palestinesi decisamente più gradito ai primi. Mai Israele aveva avuto al suo fianco un'America più schierata. Dopo la sconfitta elettorale di Trump e l'insediamento del suo successore democratico Joe Biden, però, la musica è cambiata. Torna a spirare un vento obamiano, e tralasciando in questa sede ciò che questo implica a proposito dell'Iran, in fatto di rapporti con i palestinesi ciò significa quantomeno due cose: una minore attenzione da parte della Casa Bianca verso l'eterno conflitto in Terrasanta, e soprattutto la fine della certezza automatica che essa si schieri ogni volta al fianco di Israele.
La riedizione di «intifada» in corso in queste ore nel cuore di Gerusalemme è la classica cartina di tornasole per i rapporti tra Washington e lo Stato ebraico. Rimane ovviamente fuori discussione il fatto che Israele è e continuerà ad essere un alleato fondamentale degli americani in Medio Oriente. Ma è probabile che i pregiudizi ideologici di Biden (di natura opposta a quelli di Trump) possano spingerlo ad assecondare di fatto il disegno delle élite politiche palestinesi e dei loro sostenitori internazionali: riportare l'orologio della Storia indietro di qualche anno, riaccendendo i riflettori sulle tensioni nei Territori occupati e guastando così il clima costruttivo tra arabi e israeliani che gli «Accordi di Abramo» voluti da Trump aveva meritoriamente generato in Medio Oriente.
Forse Biden spera, con il possibile allontanamento di Netanyahu dal potere, in un rimescolamento di carte che favorisca un compromesso con i palestinesi: ma ammesso e non concesso che sia così, sarebbe il ritorno di un'eterna illusione. A Hamas e Fatah, e men che meno ai loro amici iraniani e di certi Paesi arabi, i compromessi non interessano: servono solo a prender tempo in vista della resa dei conti finale con il «nemico sionista».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.