Sincera, diretta, tranchante: Viviana Varese, una stella Michelin dal 2011, è fresca del riconoscimento «Champions of Change» dei 50 Best, unica donna e italiana tra soli tre, premiata per avere orientato i suoi ristoranti - il VIVA di Milano e il nuovo W Villadorata Country Restaurant in Sicilia - all'inclusione sociale del personale a prescindere da genere, razza, età e orientamento sessuale. «Un premio super inaspettato ma un bel segno di cambiamento. Una parte di mondo si è evoluta e un'altra è rimasta con la paura del diverso e sinceramente non ho ancora capito perché».
Cosa hai studiato per diventare chef?
«Ho fatto le magistrali. Venivo da una famiglia di ristoratori ma volevo fare la fisioterapista. Poi a 19 anni per varie vicissitudini sono tornata alla ristorazione, all'inizio come pizzaiola».
Come definiresti la tua cucina?
«Mediterranea, colorata, solare e che rappresenta me stessa».
Cosa provi quando ti chiedono cosa si prova a essere una donna chef?
«Un po' di noia ma la domanda cui davvero faccio fatica a rispondere è se esiste differenza tra la cucina maschile e femminile. No».
La cosa più bella e la più brutta che ti sono capitate in questo mestiere.
«Ricevere la prima stella Michelin è stata forse l'emozione più grande, mi ha cambiato la vita. Cose brutte ne capitano spesso: fare l'imprenditrice e la cuoca prevede tutta una serie di imprevisti ma direi che l'ultimo anno e mezzo è stato particolarmente difficile».
Come spieghi il 6 per cento?
«Perché la cucina è stata concepita come un ambiente militare con lo chef come leader, e come tutti i mestieri dove ci sono dei leader non si è mai dato spazio alle donne o si è disincentivata la loro partecipazione».
Tre donne chef che apprezzi.
«Nadia Santini perché ha fatto da apripista. Anne-Sophie Pic e Dominique Crenn. In Italia Cristina Bowerman per la sua determinazione».
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