Vendetta personale e calcolo politico. Ecco perché "Joe" fa la voce grossa

Il leader Usa si allinea alla storica ostilità americana contro Mosca. Ma così punta a colpire il suo principale nemico interno: Trump. E a replicare per le accuse al figlio Hunter sull'Ucraina

Vendetta personale e calcolo politico. Ecco perché "Joe" fa la voce grossa

Ci sono tre elementi principali da considerare per interpretare l'aggressività verbale di Joe Biden nei confronti di Vladimir Putin. Il primo è di politica interna americana, il secondo riguarda una certa continuità in politica estera, il terzo invece è di natura personale. Esaminiamo. Biden ha appena ottenuto dal Congresso, senza un singolo voto dell'opposizione repubblicana tuttora di fatto trumpiana, il sì al suo colossale piano da quasi duemila miliardi di dollari per il rilancio economico e il contrasto all'epidemia di Covid. Ha un progetto «tassa e spendi» difficile da far digerire all'opinione pubblica non di sinistra e quindi un problema da risolvere che è anche di immagine. Trump ha già chiarito che conta di tornare in pista dopo le elezioni di medio termine dell'anno prossimo, attraverso le quali confida di recuperare la maggioranza parlamentare: obiettivo non nascosto, le presidenziali del '24. Biden non può permettere al suo nemico di rialzare la testa dopo il mancato impeachment, deve liberarsi di lui prima che torni a essere pericoloso. La nomina del giudice Garland al ministero della Giustizia è un sicuro segnale della sua volontà di farlo perseguire nei tribunali su ogni dossier possibile, e non certo solo per il caso macroscopico dell'assalto a Capitol Hill: gli scheletri abbondano negli armadi di Trump. Ma ora che è diventato pubblico il contenuto del rapporto dell'intelligence sulle ingerenze russe contro di lui anche attraverso «forze oscure legate al Cremlino» (leggi tra l'altro: Rudolph Giuliani, avvocato di Trump), Biden ha un'occasione perfetta per schiacciare la testa del serpente rilanciando il filone della complicità di Trump con il Cremlino. Conta di sfruttarla, presentando il partito democratico come l'unico patriottico.

Il primo tema si lega con il secondo. Esiste in tempi recenti una continuità nelle grandi linee della politica di contenimento e ostilità nei confronti della Russia delle amministrazioni democratiche almeno dai tempi di Barack Obama (più nelle parole che nei fatti) e di Hillary Clinton, che se fosse diventata presidente avrebbe messo Putin alle corde. Cosa che Putin sapeva benissimo, e per questo lavorò per favorire Trump nel 2016. Il quadriennio dell'ex presidente ha rappresentato una parentesi assai gradita a Mosca, anche se Trump è stato contenuto dal Deep State imperiale di Washington: sono state indebolite le relazioni transatlantiche e la Nato ha vacillato per colpa di un presidente americano insipiente e isolazionista. Con Biden la ricreazione è finita, e si può tornare a dire in faccia a Putin che è un assassino (mancato, nel caso di Alexey Navalny) e a minacciarlo apertamente di fargli pagar care le sue intromissioni nella politica degli Stati Uniti.

Ed eccoci al terzo punto: il caso personale. Il quasi ottantenne Biden può sembrare un fragile nonnetto, ma ha esperienza da vendere e un fortissimo senso della famiglia. Conosce bene Putin e ne ha una pessima opinione, cosa che non mancò a suo tempo di dirgli di persona: «Io non penso che tu abbia un'anima», gli sibilò in viso e il riferimento era all'imprudente L'ho guardato negli occhi e ho letto nella sua anima che posso fidarmi di lui pronunciato quasi vent'anni fa da George W. Bush.

Putin ha commesso l'errore di fornire gli elementi per scatenare contro Biden una canea internazionale per un presunto caso di corruzione che riguarda suo figlio Hunter e le sue attività commerciali in Ucraina. Rudolph Giuliani ci costruì sopra per conto di Trump una campagna di denigrazione contro l'attuale presidente, che adesso ha l'opportunità di vendicarsi con tutti e tre. E lo farà.

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