San Paolo La razionalità anche ipocrita della diplomazia da un lato, la pancia del populismo dall'altro. È il bivio al quale si è fermato il Venezuela in questi giorni, uno stallo che potrebbe costare caro ad un Paese ormai allo stremo delle forze con la popolazione alla fame.
Da un lato fervono le agende internazionali. Ieri durante una telefonata tra Trump e Putin oltre a questioni nucleari si è parlato anche di Venezuela mentre la settimana prossima in Finlandia è previsto un incontro tra il segretario di stato Usa Mike Pompeo e il suo collega russo Sergej Lavrov. Trump ha raccontato che «Putin non vuole essere coinvolto nella crisi venezuelana ma spera in un esito positivo». I toni rischiano comunque di rimanere accesi. Lavrov ha fatto sapere che la posizione di Mosca «rispetto ai piani Usa sul Venezuela sarà molto semplice: mobiliteremo gli Stati che, come noi, rispettano lo Statuto dell'Onu per contrastare simili intenti». Per poi aggiungere che «l'ingerenza di Washington negli affari del Venezuela è una flagrante violazione del diritto internazionale». Pompeo dal canto suo ha risposto dicendo che «è la Russia che destabilizza il Paese» e che «l'intervento di Russia e Cuba è stato destabilizzante per il Venezuela e per le relazioni bilaterali Usa-Russia». Intanto ieri si è riunito d'urgenza il gruppo di Lima, creato nel gennaio del 2017 per appoggiare la via pacifica alla democrazia nel paese. In agenda l'aggravarsi della crisi in atto in questo momento. Tra i temi affrontati quello della sicurezza di Guaidó e dell'altro leader dell'opposizione Leopoldo López, liberato martedì dai domiciliari e poi rifugiatosi nell'ambasciata spagnola. Da qui ha detto che la sua situazione «è un inferno, ma non ho paura di Maduro». Ha anche fatto sapere di aver avuto colloqui con vari membri importanti dell'establishment chavista che gli permettono di dire che Maduro «è circondato da persone nella sua cerchia più ristretta che vogliono che lasci il potere. Oggi Maduro non può fidarsi neppure di chi gli serve il caffè». Quanto ad un ipotetico intervento militare López non lo ha escluso «essendo un'alternativa legale contemplata dalla Costituzione».
Il ministro spagnolo degli esteri Josep Borrell dal canto suo ha dichiarato che il suo governo «limiterà» comunque le attività politiche di López: «La Spagna non permetterà che la sua ambasciata si converta in un centro di attivismo politico». Fermo restante il fatto, come lo stesso ministro ha ribadito, che il suo paese non consegnerà López - che non ha chiesto asilo politico - al governo di Maduro, nonostante l'ordine di arresto emesso dal Tribunale Supremo venezuelano giovedì scorso. Lo stesso che ieri ha deciso di processare il vice di Guaidó, Édgar Zambrano, in relazione al tentativo di golpe di martedì scorso. Tra le accuse quella di «tradimento della patria e cospirazione». Quanto a Guaidó ha indetto per oggi manifestazioni pacifiche davanti alle caserme di tutto il paese per chiedere che i militari abbandonino il presidente Maduro che ha avuto finora nell'esercito il suo maggiore punto di forza.
Intanto cominciano ad arrivare indiscrezioni sulla presunta fuga di Maduro di martedì scorso, poi abortita.
Secondo il giornalista peruviano Jaime Bayly in quelle ore concitate la moglie di Maduro a bordo di un aereo inviato da Putin sarebbe andata a Punta Cana in Repubblica Dominicana, dove la coppia ha una villa, precedendo di poche ore il marito. Che però alla fine è rimasto a Caracas. Intanto il bilancio delle vittime nell'ultima settimana è salito a 5.
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