Dentro il conflitto di queste ore tra Spagna e Catalogna si possono leggere molte cose: dal rinascere delle identità locali nell'età della globalizzazione fino alla crisi delle retoriche nazionali ottocentesche. Un dato, però, non va trascurato, e cioè che all'origine delle rivendicazioni catalane vi sono pure solide ragioni economiche. Geograficamente e non solo, la Catalogna si colloca al Nord della Spagna ed è una delle aree più dinamiche della penisola iberica. Per giunta, secondo quanti si battono per l'indipendenza, la Catalogna è vittima di una redistribuzione delle risorse che la penalizza. I soldi dei catalani, insomma, sono usati per tenere in vita l'assistenzialismo (costosissimo) che caratterizza la politica spagnola. Da parte catalana si parla di un 8% del Pil regionale che sarebbe sottratto alla disponibilità della popolazione; a Madrid si minimizza (riducendo questa somma a una cifra tra il 2% e il 6%), ma nessuno nega l'esistenza del problema. Per i catalani diventare indipendenti vorrebbe dire poter disporre appieno della propria ricchezza.
Ma c'è di più. Da vari anni, nelle riflessioni dei movimenti separatisti si sono diffuse le tesi di quegli analisti da Kenichi Ohmae a Parag Khanna persuasi che il futuro sia delle città e delle regioni indipendenti. In fondo, il successo dei cantoni svizzeri, di Singapore, del Lussemburgo e dell'Estonia è lì ad attestare che le piccole giurisdizioni sanno più facilmente evitare gli sprechi, il parassitismo, la burocratizzazione e, più in generale, le tendenze dirigiste e stataliste che sono proprie delle grandi realtà politiche. Non è un caso se all'interno dell'intellighenzia più schierata a favore dell'indipendenza alcune delle voci più ascoltate e rispettate sono quelle di alcuni economisti catalani attivi nelle università americane. Grazie al sito «Wilson Initiative» (www.wilson.cat) questi accademici affermatisi entro il sistema universitario statunitense da tempo stanno spiegando come per usare le parole del più noto tra loro, Xavier Sala i Martin «non c'è alcuna teoria economia la quale affermi che un Paese deve avere una taglia minima per poter funzionare o che i Paesi più grandi sono più efficienti di quelli piccoli». Una Catalogna indipendente, insomma, può legittimamente aspirare ad essere una nuova tigre economica, seguendo le orme della piccola Irlanda.
Già nel 2012 questi studiosi hanno redatto un documento (dal titolo «Il dividendo fiscale dell'indipendenza») proprio per illustrare come sia opportuno, per i catalani, sganciarsi da Madrid e da quanti vivono a loro spese.
La conclusione a cui sono giunti tali ricercatori è che restare in Spagna comporterebbe «il mantenimento della situazione attuale: più debito, più interessi, meno spesa sociale e più imposte. In una parola: il declino economico del nostro Paese». Orgogliosi dei loro successi economici del passato e timorosi di perdere tutto, molti catalani hanno afferrato pienamente il messaggio.
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