Da dove proviene quel comunicato delle Brigate Rosse risalente a 44 anni fa messo all'asta online dalla Bertolami Fine Art, ma soprattutto come è possibile che possa essere venduto un reperto che costituisce corpo del reato? Dopo l'uscita della notizia la Direzione generale archivi del ministero della Cultura guidato da Dario Franceschini ha disposto una verifica sul ciclostile del «Comunicato n.1» delle Brigate Rosse, con cui l'organizzazione terroristica rivendicava il rapimento di Aldo Moro e l'uccisione della scorta.
«Nel fascicolo della Corte di Assise di Roma - specificano dal ministero - , studiato e digitalizzato dalla stessa DG Archivi, risultano già presenti infatti 41 esemplari ciclostilati originali del comunicato che sono l'esito di consegne da parte dei destinatari alla questura oppure di sequestri. Alcuni risultano incompleti». L'avvocato Valter Biscotti, che da anni segue legalmente le famiglie della scorta di Moro, ritiene «insolito e incredibile quanto accaduto». «I casi sono due - spiega - : o quel comunicato proviene da una delle redazioni a cui fu fatto recapitare, oppure durante la digitalizzazione qualche furbetto si è impossessato di una delle copie. Di qualunque ipotesi si tratti, è ignobile fare mercimonio di atto che riguarda fatti di terrorismo in cui hanno perso la vita delle persone».
Le reazioni politiche non hanno tardato ad arrivare. Cinzia Pellegrino (FdI), coordinatore nazionale del dipartimento tutela vittime, auspica che «la magistratura possa presto dare risposte sulla vicenda», mentre il senatore del Pd Dario Parrini, presidente della commissione Affari costituzionali a Palazzo Madama, si chiede: «Com'è potuto accadere? Sono state violate delle leggi? Di sicuro si è violato un principio di decenza e di umanità». Il senatore Maurizio Gasparri (FI), annuncia che sul «fatto di assoluta gravità» saranno chiesti «chiarimenti in Parlamento. La nostra storia e le tragedie che l'hanno caratterizzata meritano un approccio diverso». Ciro Iozzino, fratello di Raffaele, uno degli agenti morti in via Fani, chiarisce: «Sarebbe stato più giusto conservare il volantino come fosse una reliquia; venderlo all'asta è un po' una presa in giro». Il dem Enrico Borghi annuncia che col collega Filippo Sensi farà «un atto sindacale ispettivo parlamentare». Giuseppe Fioroni, già presidente della Commissione Moro, tiene invece a dire: «Mi colpisce come tutto questo sia potuto accadere e mi auguro che le autorità preposte facciano i loro doverosi accertamenti». Per la leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni mettere all'asta quel volantino «è una vergogna. La testimonianza del sequestro dell'allora presidente del Consiglio, Aldo Moro, e il drammatico massacro degli uomini della sua scorta non può e non deve essere venduto al miglior offerente».
Giovanni Berardi, presidente dell'Associazione europea vittime del terrorismo e figlio del maresciallo Rosario Berardi, ucciso dalle Br il 10 marzo 1978 a Torino, parla di «ennesimo affronto ed ennesima offesa alla memoria delle vittime del terrorismo», mentre il giornalista Mario Calbresi, figlio di una delle vittime degli anni di piombo, specifica che quelle «pagine che grondano sangue devono piuttosto stare in una Casa
della memoria».La casa d'aste ieri si è affrettata a commentare: «I collezionisti di documenti storici non sono speculatori, né volgari voyeur. È facile prevedere che chi comprerà quel foglio lo conserverà come una reliquia».
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