Le reazioni scandalizzate suscitate dalle affermazioni di Bruno Vespa a proposito delle atlete di colore italiane che hanno trionfato nella pallavolo alle Olimpiadi di Parigi meritano una riflessione perché sintomatiche di una postura intellettuale molto diffusa di cui si ignora non solo l'insipienza, ma la pericolosità sociale. «Straordinaria la nazionale pallavolista femminile. Complimenti a Paola Enogu e Myriam Sylla: brave, nere, italiane. Esempio di integrazione vincente».
A Vespa è stato obiettato che parlare di integrazione, in questo caso, è assurdo, visto che si tratta di atlete nate in Italia. Dimenticando che l'integrazione, cioè lo sviluppo di pensieri e comportamenti approvati dal gruppo di cui si fa parte, è una necessità che riguarda tutti.
Tutti nasciamo, in un certo senso, disintegrati; poi, se le persone che ci circondano ci danno una mano, e ci insegnano l'essenziale, pian piano diventiamo italiani, francesi, messicani o tailandesi; integrandoci, per l'appunto. Esiste anche un termine tecnico dell'antropologia sociale anglosassone, inculturation, riferito al lungo e accidentato percorso attraverso il quale un bambino diventa membro di una particolare società.
Percorso, fra l'altro, ineludibile: il fallimento scolastico, professionale o familiare è infatti quasi sempre la conseguenza di una mancata integrazione all'interno della comunità. Indipendentemente dal colore della pelle, come pure dalla provenienza dei nostri avi.
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