Veti e insofferenze reciproche. Se un Campo non è coalizione

Il Pd deve tenere insieme tutta la sinistra. Il Movimento: "Noi grillini con Renzi? Mai"

Veti e insofferenze reciproche. Se un Campo non è coalizione
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Davanti alla palazzina della 7 a via Teulada, sotto il sole cocente di un'estate rovente, Francesco Silvestri, che come capogruppo dei deputati è nella stanza dei bottoni del Movimento 5stelle, azzarda una radiografia dello stato dell'opera del cosiddetto «campo largo» e naturalmente finisce per parlare di quei compagni di strada che suscitano ansia tra i grillini. «Non penso proprio - spiega arrivando subito al punto - che noi si possa andare con Renzi: alle regionali pure pure, ma a livello nazionale per noi sarebbe un problema. Passeremmo dall'11% che abbiamo all'8%, cioè noi perderemmo due punti per prendere quel punto striminzito che ha Renzi? Non mi sembra un grande affare. Magari l'alleanza con Calenda si, ma con Renzi la vedo molto difficile visto che ha dichiarato di considerare la caduta del governo Conte il suo capolavoro. La nostra gente non capirebbe. Poi certo nella vita, come si dice, mai dire mai».

Appunto, «mai dire mai» ma il ragionamento del dirigente grillino mette a nudo uno dei problemi che Elly Schlein (foto) si trova ad affrontare nel «cantiere» del campo largo. Alla fine la sua creatura - è ineluttabile - nascerà sull'onda referendaria, ma se perdesse pezzi rischia di essere un'incompiuta, cioè di non essere competitiva. Eh sì, perchè in un sistema bipolare la sfida è all'ultimo voto. Più tracci il confine tra i due poli quasi dentro lo schieramento avversario conquistando terreno nella terra di mezzo e più hai chance di vittoria. «Noi perdemmo le elezioni del 2006 per 23mila voti», ricorda Licia Ronzulli.

Solo che un'operazione del genere ha bisogno di una classe dirigente che unisca «identità» e «pragmatismo», in cui le ragioni dello stare insieme diventino prioritarie rispetto alle differenze. Quel «mix» con cui Berlusconi mise insieme il centro-destra all'insegna del motto della concretezza: «prima si vince e poi si vede». Una filosofia che a sinistra manca: basta guardare alla crisi dell'ultimo governo Prodi 16 anni fa e ascoltare i bisbigli che accompagnano la nascita del campo largo che potrebbero depotenziarlo.

Contraddizioni che non appartengono ad un Pd normalizzato che dopo le europee segue disciplinato la segretaria. Giri per il Transatlantico e da quelle parti ripetono il verbo della Schlein a menadito. «Come dice Elly - ripete Vinicio Peluffo - nessun veto. A cominciare da Renzi». «Dobbiamo imparare a stare insieme - spiega il figlio del governatore della Campania, Piero De Luca - prendere esempio da Berlusconi che teneva insieme la sua coalizione malgrado gli epiteti che si beccava dai suoi alleati».

Sullo schema del «nessun veto» il Pd marcia. Semmai i problemi nascono nella sinistra o, soprattutto, tra i grillini. E in quel mondo collaterale - vedi il Fatto e affini - che trova più congeniale stare all'opposizione che non al governo. Da quelle parti si mettono paletti contro i potenziali alleati, si immaginano crisi di governo prima del tempo, governi strampalati per mettere in imbarazzo il Pd o elezioni anticipate provocate da un centro-destra posseduto da un desiderio masochistico: tutte menate inventate perché per quel mondo l'alleanza con «il centro», in tutte le sue manifestazioni, è indigeribile.

Su quel versante, per dirla appunto con Silvestri, prediligono Calenda perché è «impolitico»: conoscono «l'imperizia» del personaggio che si fece bello all'ambasciata americana scommettendo che alle elezioni europee avrebbe preso il 7% (ha superato di poco il 3) e che ora teorizza nel mondo dei sogni una lunga marcia che sul modello della Meloni nel giro di qualche anno dovrebbe portarlo al 30%. Insomma, preferiscono un Napoleone con lo scolapasta in testa (per usare una felice espressione felice di Massimo D'Alema) allo spirito luciferino di Matteo Renzi che per mettere in piedi il «campo largo» con la Schlein si fa «concavo e convesso» (Berlusconi docet).

Tutte queste contraddizioni sono chiare al centro-destra che si è accorto (finalmente) che per vincere nel bipolarismo bisogna conquistare il maggior spazio possibile al centro e invia emissari eccellenti per riaprire un dialogo con chi pascola in quell'area a cominciare da Renzi. Magari approfittando dell'incapacità di convivere a sinistra, dei «disagi e dei malumori» nello stare insieme che già si avvertono nel «campo largo» e che allarmano il teorico di quel modello, Goffredo Bettini.

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