Il grido di Mantovani dal carcere: "Colpito da odio e invidia sociale"

Il vicepresidente del Csm Legnini sul caso Mannino: "È ingiusto soffrire per un processo lungo 22 anni"

Il grido di Mantovani dal carcere: "Colpito da odio e invidia sociale"

Roma - La presunzione d'innocenza è un principio giuridico rispettato o una scatola vuota? Due recenti casi di cronaca riaccendono i riflettori sui tempi lunghi dei processi e sull'uso a volte distorto del carcere preventivo.

Quello di Calogero Mannino che, dopo l'assoluzione nel processo sulla trattativa Stato-mafia, accusa: «Alcuni pm mi hanno sequestrato per 25 anni». E quello dell'ex vicepresidente della Regione Lombardia ed ex assessore alla Sanità Mario Mantovani, a San Vittore dal 13 ottobre con l'accusa di corruzione, concussione e turbativa d'asta, che dopo il no del tribunale del Riesame alla scarcerazione dice: «L'odio e anche l'invidia sociale mi hanno portato in carcere. Se una segnalazione è interpretata come costrizione o induzione allora si dovrebbe portare in tribunale mezza Italia».

Su Mannino il vicepresidente del Csm Legnini ammette: «Se quella vicenda processuale fosse stata risolta in sei mesi o un anno quella sofferenza sarebbe stata fortemente attenuata. Ma non mi sento di attribuire responsabilità ai magistrati, le cause sono molteplici». E aggiunge: «Il fattore tempo influisce sulla vita delle persone. La durata del processo costituisce sempre più un indice di qualità dell'esercizio della giurisdizione».

Quanto a Mantovani, un'interpellanza di deputati di Fi, da Brunetta a Santanchè, chiede al Guardasigilli Orlando di fare chiarezza su «un caso di applicazione della custodia cautelare in carcere che non può che sollevare più di un dubbio in merito all'idoneità della misura come extrema ratio ».

Il rischio di un uso distorto di questo strumento è frequente, concorda Pierantonio Zanettin, senza entrare nella vicenda Mantovani e parlando come avvocato e non in veste di laico del Csm (Fi). «Troppe volte - dice - la carcerazione preventiva ha due finalità che non sono quelle previste dalla legge (pericolo di fuga, reiterazione del reato, inquinamento delle prove). Viene usata come espiazione anticipata della pena e per indurre alla confessione e a chiedere il patteggiamento.

L'ho sperimentato da legale in mille occasioni. Non è cambiato niente da Tangentopoli, nell'ordinamento e nella prassi dei magistrati. Ed è anche colpa di noi garantisti che in Parlamento non siamo riusciti a trovare il consenso necessario per cambiare le cose».

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