È una mattinata concitata a Palazzo Madama. Il Consiglio nazionale del Movimento 5 Stelle è iniziato attorno alle 9. Dopo due ore di riunione, dalle agenzie di stampa inizia a trapelare che a prevalere sarà la linea dura e cioè quella di un Aventino sul voto di fiducia al dl Aiuti. In questo modo il partito vorrebbe salvare capra e cavoli, prendendo le distanze dal testo, che contiene la norma sul termovalorizzatore invisa ai pentastellati, e assicurando allo stesso tempo il sostegno al governo. Ma non è così semplice. La mossa potrebbe aprire a scenari "imprevedibili".
E non è un caso che mentre è in corso il conclave grillino il leader della Lega, Matteo Salvini, ci tenga a precisare che "se una forza di maggioranza non vota un decreto di maggioranza, si va a votare". "Se i 5 Stelle fanno quello che ritengono di fare mi sembra che la strada sia segnata, lasciamo perdere altre cose strane, per favore, anche perché governare con il Pd non è un esercizio facile", commenta il segretario del Carroccio intervenendo ad un incontro alla Camera dei Deputati. Prima di lui, intervistato da La Stampa, era stato Silvio Berlusconi a non escludere l’opzione del voto anticipato: "Non è possibile che un governo vada avanti se ogni giorno una delle maggiori forze politiche che dovrebbero sostenerlo si dissocia fino a non votare provvedimenti essenziali".
Nei corridoi del Senato si vocifera che Salvini faccia sul serio. E cioè che l’Aventino dei Cinque Stelle possa offrire al leader della Lega l’occasione per sganciarsi. Innanzitutto, si leverebbe di dosso la macchia del Papeete, perché quello che sta per fare Conte, commenta qualcuno, "è molto peggio". E poi avrebbe l'alibi per tornare a fare il capo di un partito di "lotta", magari recuperando consensi su Fratelli d’Italia alle prossime elezioni. Senza contare che se si andasse a votare domani, probabilmente il centrodestra vincerebbe a mani basse.
Se Conte non riuscisse a tenere a bada i suoi, restare nell’esecutivo sarebbe un problema anche per il Pd, che si ritroverebbe a sostenere Draghi a capo di un governo praticamente di centrodestra. Insomma, dicono i bene informati, i Cinque Stelle si illudono che Mattarella riesca a mettere insieme un Draghi bis. Ma la verità, avvalorata dalle secche smentite del premier, è che si rischia l’effetto domino: se cade una casella "viene giù tutto". In casa Dem le bocche sono cucite e gli occhi sono puntati sull'assemblea congiunta di deputati e senatori pentastellati che ci sarà stasera e dalla quale emergerà la linea ufficiale.
Ma nel frattempo si percepisce una grande irritazione per il comportamento degli alleati. "Sarebbe molto grave se il Movimento 5 Stelle togliesse la fiducia al governo di cui fa parte su un provvedimento che stanzia 20 miliardi di risorse per aiutare famiglie, lavoratori e imprese. È del tutto evidente che togliere la fiducia condurrà ad una crisi di governo dagli esiti imprevedibili, chiediamo che ci sia un sussulto di responsabilità", è quello che filtra da ambienti del Pd.
Se il Movimento decidesse di non dare il proprio appoggio al provvedimento, insomma, la parola "elezioni" non sarebbe più un tabù. E a rischio sarebbe anche il "campo largo". Sul futuro dell’alleanza con i Dem la capogruppo alla Camera, Deborah Serracchiani, è stata netta: "Il governo non è un tram da cui si sale e si scende" ed è "l’ultimo di questa legislatura".
Insomma, dopo le aperture di Draghi sullo stanziamento di 13 miliardi per salario minimo e cuneo fiscale il dibattito in corso tra i Cinque Stelle viene percepito come "lunare", nel senso di lontano quasi quanto le galassie riprese dal telescopio James Webb dai problemi dei cittadini.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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