Il Vietnam di Biden finirà nelle mani dei cinesi

Il ritiro da Kabul costerà carissimo alla Casa Bianca. E rinforzerà i suoi nemici

Il Vietnam di Biden finirà nelle mani dei cinesi

«Non puoi ottenere al tavolo dei negoziati ciò che non ti sei guadagnato in battaglia». Il presidente afghano Ashraf Ghani forse non ha mai letto le memorie del generale vietnamita Võ Nguyên Giap, ma di certo non ignora che i talebani in fatto di vendette poco da invidiare agli ex-nemici degli Usa in Vietnam. C'è dunque da chiedersi che senso abbia la proposta di un governo di Kabul pronto, da ieri, a trattare una spartizione del potere con gli eredi del Mullah Omar. La proposta formulata mentre si combatte a Kandahar e dopo la caduta di Ghazni ed Herat - gli ultimi degli undici capoluoghi provinciali passati in mani integraliste in meno di una settimana - ha ben poche speranze di venir accettata. E se anche lo fosse andrebbe valutata ricordando che i talebani s'erano impegnati a non attaccare durante il ritiro statunitense e a intavolare, invece, negoziati diretti con Kabul. Un sì talebano agli appelli di pace di un governo con le spalle al muro potrebbe dunque rivelarsi uno stratagemma per mettere piede a Kabul senza manco combattere. Ma l'offerta è anche un segnale della disperazione di una capitale dove pochi si fanno illusioni sulla disponibilità dei talebani a risparmiare le vite di chi ha collaborato con l'«invasore» americano. Una disperazione alimentata peraltro dal cinico voltafaccia di un un Joe Biden pronto ad abbandonare al proprio destino un sistema di potere che - per quanto corrotto e privo di credibilità - è pur sempre figlio dell'alleanza stretta con Washington dopo l'11 settembre. Il disintegrarsi dell'esercito e la vergognosa fuga del governatore di Ghazni, arrestato per aver consegnato la città ai talebani in cambio di un lasciapassare, sono figlie anche del cinismo di una Casa Bianca decisa ad abbandonare al proprio destino chi per vent'anni ha confidato in loro. Meno chiaro è, però, come un Joe Biden - senatore dal lontano 1973 e testimone diretto del trauma causato dall'abbandono di Saigon - possa confidare in un addio all'Afghanistan privo di conseguenze. É vero, settimane fa i sondaggi gli garantivano il sostegno di un'opinione pubblica soddisfatta per la chiusura della guerra più lunga nella storia degli Usa. Ma le opinioni mutano in fretta. E l'ex vice un Barack Obama accusato nel 2014 di aver mollato troppo in fretta l'Iraq favorendo l'ascesa dello Stato Islamico dovrebbe essere il primo a saperlo. Anche perchè le vecchie immagini dei terroristi del Califfato a bordo dei blindati forniti all'esercito iracheno ricordano tanto quelle odierne di Herat, Ghazni e Lashkargah dove le milizie talebane avanzano sugli Humvee americani dell'esercito afghano. E a disgustare ancor più l'opinione pubblica americana, contribuendo al precipitare della popolarità di Biden, potrebbero aggiungersi, come sette anni fa, le immagini di orrori e stragi. Ed ancor più pericoloso - non solo per Biden, ma per il futuro della grande potenza americana - è l'allungarsi sull'Afghanistan dell'ombra cinese. In quest'ottica la Cia farebbe bene a ricordare al Presidente che il movimento talebano nacque nel 1995 grazie servizi segreti di quel Pakistan che - oltre ad esser sospettato di guidare con le proprie forze speciali l'attuale avanzata talebana - è di fatto il miglior alleato della Cina nell'area del sub continente indiano. La stessa Cina che a fine luglio ha ricevuto una delegazione talebana guidata da quel mullah Abdul Ghani Baradar considerato uno dei fondatori del movimento e uno dei suoi più importanti leader politici. E chi a Washington si consola spiegando che la Cina vuole solo convincere i talebani a rompere i rapporti con i gruppi armati uighuri, la minoranza musulmana dello Xinjiang perseguitata da Pechino, farebbe meglio a guardare la carta geografica.

Mettendo piede in Afghanistan la Cina circonderebbe quell'India che oltre ad essere la sua principale avversaria in Asia resta la nemica giurata del Pakistan. E si garantirebbe un rapporto diretto con Russia e Iran i due Paesi che Washington considera i suoi grandi nemici. E così l'Afghanistan, già tomba degli imperi, diventerebbe la piattaforma della nuova egemonia cinese.

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