Polmoniti anomale. Tante, troppe, già nel trimestre precedente al fatidico 20 febbraio, giorno in cui è stato scoperto a Codogno il presunto «Paziente 1». Il primo caso italiano di Coronavirus con ogni probabilità non era tale, e una nuova conferma arriva dall'Ats di Bergamo. Tra novembre e gennaio ci sono state 110 polmoniti «sospette» solo all'ospedale di Alzano Lombardo, il centro alle porte del capoluogo in cui il 21 febbraio fu ricoverato un 84enne deceduto due giorni dopo al Papa Giovanni XXIII, prima vittima bergamasca del Covid. Che la data della comparsa italiana del virus dovesse essere retrodata era considerato molto probabile anche in virtù di alcune evidenze. Importante conferma adesso, sembra arrivare da questi dati forniti dall'Ats al consigliere regionale di «Azione», il bergamasco Niccolò Carretta, che ha presentato un'interrogazione per ottenere una sorta di accesso agli atti sui ricoveri ospedalieri. Stando ai dati dell'azienda sanitaria, le polmoniti anomale ad Alzano sono state 18 a novembre, 40 a dicembre e altre 52 a gennaio. Negli anni precedenti erano state 196 (nel 2018) e 256 (nel 2019). Confrontando i dati novembre-gennaio con il corrispondente periodo precedente, l'aumento riscontrato in questo scorcio di 2019-inizio di 2020 risulta essere del 30%. La definitiva certezza che queste polmoniti anomale fosse determinata da Covid la si potrebbe avere con dei test sierologici mirati, e Carretta chiede «dati di tutta la Lombardia per fare maggiore chiarezza». È presumibile che anche dalla sanità non ospedaliera, possa arrivare un quadro simile, e confermerebbe l'ipotesi di un contagio sommerso, sfuggito per settimane al controllo sanitario territoriale. Il punto, secondo il consigliere regionale, è la mancata sorveglianza: «Mi chiedo come sia stato possibile che non sia scattato un campanello d'allarme. Ora andrò avanti per completare il quadro» annuncia Carretta chiedendo, «parallelamente alla ricostruzione», che si faccia «tutto il possibile per gestire correttamente la probabile seconda ondata autunnale a partire da una più efficace medicina di territorio». Sul caso molti sono intervenuti. «Perché in un mese e mezzo nessuno ha pensato di fare un tampone?» ha chiesto, per esempio, il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, con una domanda che vuole investire la Regione.
Anche i medici lombardi adesso si sentono nel mirino, dal punto di vista anche giudiziario. Però il tema della tardiva individuazione di casi Covid ufficiali è molto complesso e chiama in causa anche il contenuto dei protocolli sanitari nazionali, quelle circolari ministeriali che a gennaio hanno previsto e poi allentato la definizione del «caso provvisorio per la segnalazione». Nella prima infatti, il 22 gennaio, era indicata come tale anche «una persona che manifesta un decorso clinico insolito o inaspettato, soprattutto un deterioramento improvviso nonostante un trattamento adeguato, senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio». Nella seconda (27 gennaio) questa fattispecie sparì. E anche a febbraio non c'era niente che obbligasse a fare un tampone a un malato come il «paziente 1».
Oggi si ripropone dunque quello che accadde a febbraio, quando il governo aveva cercato di scaricare sull'ospedale di Codogno, quindi sulla sanità lombarda, la responsabilità di quella che allora voleva far apparire come una «falla». Ma poi emerse la verità: il tampone al «paziente 1» fu fatto solo per un'intuizione e una «forzatura» dei medici di Codogno, che infatti sono stati premiati dal Quirinale.
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