Elio Vito, con il coup de théâtre delle dimissioni dal Parlamento (un atto che dovrà essere calendarizzato e, in caso, approvato) e con l'abbandono di Forza Italia, pone la parola «fine» ad anni di critiche sistematiche che sono state mosse dall'interno di un emisfero che gli ha garantito una progressione politica di tutto rispetto. Nel Palazzo, ben prima del passaggio del referendum sul taglio dei parlamentari, circola una versione precisa: l'onorevole di formazione radicale, avendo compreso di non poter più contare su una ricandidatura, si è messo in cerca di altri lidi d'attracco. Da qui, con ogni probabilità, la scelta di procedere in «direzione ostinata e contraria» rispetto alla linea del partito guidato da Silvio Berlusconi.
Per intendersi: Vito si è astenuto quando Maria Elisabetta Alberti Casellati, a sua volta un' esponente di Fi, è stata eletta alla presidenza del Senato; alla fine del 2021, ha deciso di non votare la fiducia al governo presieduto da Mario Draghi sulla legge di Bilancio; in funzione della posizione assunta dagli azzurri sul ddl Zan, ancora, ha lasciato gli incarichi di partito, magari dimenticando quanto e come Fi avesse cercato di dialogare per arrivare ad un testo di legge che potesse trovare il placet di Palazzo Madama. Il Partito Democratico, in quella circostanza, non ha sentito ragioni, insistendo su un provvedimento che non aveva possibilità numeriche di passare in Senato. Del resto quello capeggiato da Enrico Letta è lo stesso partito a cui, stando sempre a quanto trapela dai corridoi di Montecitorio, l'onorevole campano guarda per la prossima legislatura. Chissà cosa ne pensano dalle parti del Nazareno. Al momento, non si possono escludere sorprese di diverso tipo ma comunque orientate verso l'area del cosiddetto campo largo.
Passiamo allo storico. Vito ha alle spalle una carriera parecchio corposa: con quella in corso, fanno otto legislature, peraltro senza mai saltare un giro. La prima risale ai tempi della militanza nel Partito Radicale di Marco Pannella. Poi, dopo la vittoria del 1994, l'adesione al principale partito di centrodestra. Durante il suo percorso politico, Vito è stato ministro per i Rapporti con il Parlamento, capogruppo di Fi e presidente della commissione Difesa della Camera. Non sono in molti a poter vantare una tale continuità. Giusto per fare un esempio plateale: un gigante come Giulio Andreotti è stato in Senato per otto legislature ma dal 1991 - anno della nomina - come senatore a vita. Avendo superato le cinque volte, all'ex forzista dovrebbe spettare, con tutti i tagli previsti, il massimo del vitalizio possibile, ossia circa 7mila euro lordi. C'è una postilla non di poco conto: quanto dovrà passare affinché le dimissioni del deputato divengano effettive? La prassi prevede che serva un periodo che può variare da caso a caso. Come atto di cortesia, il Parlamento tende poi spesso a respingere le dimissioni. Questa legislatura sta per terminare e, almeno per ora, non è possibile circoscrivere il momento in cui Elio Vito saluterà il suo scranno. Vedremo.
La motivazione dell'addio è relativa alle alleanze stipulate da Fi per le comunali di Lucca ma, a ben vedere, quella
del deputato è una mossa annunciata che ha soltanto aspettato un po' a concretizzarsi. Vito, che di recente non ha fatto altro che criticare Fi, sbatte la porta dicendo che in Fi «le critiche» sono «state messe al bando».
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