Una vittoria mutilata. Lo Zar non accetterà questo compromesso

"Sono pronto al dialogo, ma non alla resa". Con questa dichiarazione - rilasciata alla rete statunitense Abc, ma rivolta al nemico Vladimir Putin - il presidente ucraino mette sul tavolo un compromesso capace di chiudere la guerra

Una vittoria mutilata. Lo Zar non accetterà questo compromesso

«Sono pronto al dialogo, ma non alla resa». Con questa dichiarazione - rilasciata alla rete statunitense Abc, ma rivolta al nemico Vladimir Putin - il presidente ucraino mette sul tavolo un compromesso capace di chiudere la guerra. Un compromesso che, fa capire, prevede la rinuncia ai territori del Donbass, il riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea e l'addio alla pretesa di entrare nell'Alleanza Atlantica. «Riguardo alla Nato ho perso interesse nella questione dopo aver capito - dice Zelensky - che la Nato non è pronta ad accettare l'Ucraina perché teme il confronto con Russia». Ma per i compromessi bisogna essere in due.

Ci si chiede dunque se le condizioni richieste mesi fa dal Cremlino, e fatte proprie oggi da Zelensky, soddisfino ancora un Vladimir Putin che da quando ha mosso l'esercito ripete di esigere la «denazificazione» e la «neutralizzazione» dell'Ucraina. Nella terminologia del Cremlino quelle due parole alludono a soluzioni ben più radicali. «Denazificare» significa eliminare, o mettere al bando, Zelensky e un governo assimilato al nemico nazista della seconda guerra mondiale. Ridurre l'Ucraina alla «neutralità» equivale a trasformarla in una nazione senza difese, priva di relazioni con l'Occidente e inserita nell'area d'interesse di Mosca. Quei due obbiettivi esigono, però, costi e rischi ingenti. Una capitolazione richiede un'offensiva lunga mesi e costi resi più ingenti dalle sanzioni oltre che dall'inevitabile perdita di consensi causata dalle ingenti perdite umane. E poi vi sono i rischi. Il principale, - puntando al bersaglio grosso, ovvero la conquista di Kiev e dei territori ad Est del fiume Dniepr - è di ritrovarsi impantanati in un conflitto senza fine. Il controllo di un territorio così ampio richiederebbe il dispiegamento a operazioni terminate di centinaia di migliaia di uomini sottoposti a un costante stillicidio di attacchi e perdite inflitti da una resistenza aiutata dall'Occidente. Senza dimenticare, come spiega a il Giornale una fonte ucraina filorussa che «il pesante assedio sta già ora ridimensionando il consenso delle minoranze russofone». Un problema aggravato dall'assenza di un leader pronto a guidare l'eventuale governo provvisorio filorusso indispensabile per governare Kiev e i territori a Est del Dniepr dopo la cacciata di Zelensky.

Il parlamentare Viktor Medvedchuk, un tempo assai vicino a un Putin padrino della più giovane delle sue figlie, ha approfittato della guerra per fuggire dalla residenza di Kiev dov'era agli arresti domiciliari, ma secondo fonti ucraine è fuori dai giochi in quanto incapace di catalizzare i favori indispensabili a guidare un esecutivo provvisorio. Escluso lui non resta molta scelta. Oleg Tsaryov, altro ex parlamentare e uomo d'affari ucraino in esilio a Mosca dal 2014, sembra ancor più screditato di Medvedchuck. L'ex signore dei media Yevheniy Murayev, indicato dall'intelligence britannica come possibile scelta del Cremlino, non risulta, invece, troppo allineato con Mosca. Proprio la mancanza di un leader da contrapporre a Zelensky può aver favorito il ritorno sulla scena di Viktor Yanukovich, l'ex presidente dell'Ucraina accolto in esilio in Russia, ma condannato all'oblio da un Cremlino che non gli perdona la fuga da Kiev durante gli scontri del febbraio 2014.

Ieri parallelamente alla proposta di compromesso arrivata da Kiev è circolata una lettera in cui Yanukovich chiede a Zelensky, di «mettere da parte l'orgoglio» e «fermare lo spargimento di sangue». «Volodymir - scrive l'ex presidente - forse sogni di diventare un vero eroe, ma l'eroismo non è ostentazione, non è combattere fino all'ultimo ucraino». Parole rivolte, forse, ad aprire un negoziato parallelo tenendo fuori dai giochi un Cremlino che non può permettersi di trattare o fare passi indietro prima di aver raggiunto un risultato significativo sul terreno.

Anche perché accontentarsi della sovranità sulla Crimea, dell'indipendenza dei territori del Donbass e della rinuncia di Kiev alla Nato dopo un'operazione militare costata troppe vite e sanzioni terribili non è, ancora, un risultato accettabile.

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