Enrico Letta brinda al successo, con la rielezione di Sergio Mattarella. Un lancio di festoni che serve solo a celare le tensioni che attraversano il partito di Largo del Nazareno. Tanto per capire il clima, I dirigenti dem hanno inizialmente osteggiato chi ha proposto di spingere sulla conferma del capo dello Stato. Addirittura è stata organizzata una strategia per studiare le mosse di chi lo votava nel segreto del catafalco. Poi il vento è cambiato e il segretario del Pd ha trovato il modo per nascondere la polvere sotto il tappeto, intestandosi il successo. Nella serata di sabato, quella dello spoglio decisivo, Letta è stato salutato pomposamente come “the winner” dal ministro della Cultura Dario Franceschini. Il vincitore della contesa, secondo questa versione. Ma, dopo poche ore, si sta rivelando una vittoria di Pirro o comunque una narrazione data in pasto ai media. I dem sono alle prese con spaccature e divisioni interne. E non sono scoppiate nelle ore più calde solo perché esisteva un avversario comune.
Rimproveri ai pro-Mattarella
Letta è infatti riuscito a tenere insieme il partito, grazie a una strategia tutta difensiva, di opposizione totale a qualsiasi candidatura del centrodestra. “Catenaccio e contropiede”, l’ha definita un parlamentare. I veti prima su Silvio Berlusconi e poi su Elisabetta Casellati, e poi a tutti gli altri nomi avanzati, hanno fatto da collante. Almeno in apparenza. Durante le votazioni non sono mancate le tensioni, secondo quanto viene raccontato a IlGiornale.it. Chi ora gioisce per la rielezione di Mattarella ha reso la vita complicata all’area di Matteo Orfini. L’ex presidente, insieme ai suoi, è stato uno dei primi ad avanzare l’idea di esprimere la preferenza per il capo dello Stato fin dalla prima votazione. La capogruppo alla Camera, Debora Serracchiani, era una delle addette al cronometro del Pd, insieme ad altri esponenti: controllavano il tempo di permanenza nel catafalco. Più tempo trascorreva il grande elettore, più probabile che stesse scrivendo un cognome lungo, come quello di Mattarella. E non stesse quindi lasciando la scheda bianca. Un’operazione che era rapida, limitata alla chiusura del foglio.
Così, secondo quanto si apprende, non sono mancati i rimproveri rivolti ai parlamentari ‘troppo lenti’ nell’urna, colpevoli di disubbidire all’ordine dall’alto. Un tentativo di militarizzazione del voto che si è gradualmente sfaldato, a conferma delle difficoltà a tenere i gruppi: i grandi elettori dem hanno iniziati a fare di testa loro, ignorando le prescrizioni dei vertici. Hanno votato Mattarella. Così, alla fine, c’è stata l’indicazione vaga di una sorta di libertà di coscienza, seppure con la predilezione per la scheda bianca. Di fronte all’ondata crescente, sospinta in silenzio dallo stesso Franceschini, insomma, il leader del Pd si è semplicemente accodato, trovando una via di uscita che gli potesse garantire di non uscirne proprio a pezzi.
Tensione con gli ex renziani
Ma non solo. Nel Pd c’è fermento anche tra gli ex renziani, oggi nella corrente Base riformista. Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha assunto una posizione durissima nei confronti dei vertici, soprattutto nelle ore in cui aveva preso quota la candidatura al Quirinale di Elisabetta Belloni. La sponda con Italia viva ha funzionato, stoppando la corsa della numero uno del Dis verso il Colle. È rimasta, però, la polemica sulle alleanze.
“La trattativa per l’elezione del Presidente della Repubblica ha confermato la totale inaffidabilità del Movimento 5 Stelle e in particolare di Giuseppe Conte”, è la tesi che viene esposta dagli uomini più vicini a Guerini. Che invece hanno molto apprezzato il dialogo tra Letta e Matteo Renzi. Così, ora, il segretario del Pd deve rimettere insieme i pezzi. Scoprendo che non è affatto il “winner” della rielezione di Mattarella.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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