La festa è finita. I più grandi miracolati della storia repubblicana fanno finalmente cartella. E la XVII legislatura affoga nella triste storia di questo Paese. Cambiano la seconda e terza carica dello Stato e Piero Grasso e Laura Boldrini (che hanno voluto un seggio a tutti i costi) ritornano ad essere i peones della politica che erano, l'uno senatore e l'altra deputata semplice (salvati dal proporzionale).
Se solo cinque anni fa all'ex capo dell'Antimafia e alla funzionaria Onu per i rifugiati avessero detto che sarebbero stati premiati dalla politica in questo modo, loro stessi non ci avrebbero creduto. «Ma voi siete matti - racconta la stessa Boldrini di aver detto al gruppo di Sel con il quale era stata eletta alla Camera, quando apprese della sua nomina - ero sotto choc». Lo crediamo bene. Lo stesso vale per Grasso, pescato dal Pd di Pier Luigi Bersani per scalare Palazzo Madama. E il fatto di essere due parvenu lo hanno ampiamente dimostrato durante i loro mandati tra gaffe e inciampi.
«Un leader sbiadito, privo di esperienza politica e inadatto a realizzare le riforme attese dal Paese», definiva Grasso l'ambasciatore degli Usa a Roma, John Phillips, quando si ventilava un governo affidato all'ex magistrato dopo il terremoto del referendum costituzionale. Il presidente del Senato è stato spesso considerato un «grillino in libera uscita» e quando è diventato presidente del partito bersaniano persino Sergio Mattarella si è irritato, soprattutto dopo che sul sito di Palazzo Madama, comparve il simbolo di Liberi e Uguali. Poche idee, nessuna empatia: Grasso, un rosso antico senza trasporto, fuori luogo, inadeguato al ruolo sia come presidente del Senato che ancor meno come leader politico, imprigionato dalla traccia dei suoi discorsi scritti su fogli sventolati come volantini letti male. Un ruolo il suo che non è mai riuscito ad interpretare con convinzione.
Sulla Boldrini sarebbe da scriverci un libro, tante le sue sgarbatezze. Ossessionata dal fascismo fino all'esasperazione (canta «Bella ciao» coi partigiani in aula e si scaglia contro il Mein Kampf pubblicato dal Giornale) e dagli haters del web (solo quando offendono lei), pronta a crocifiggere CasaPound, tace invece sugli oltraggi della terrorista Barbara Balzerani. Una dalla querela facile (ha chiesto 250mila euro persino alla Gazzetta di Lucca), naviga su fiumi di retorica per difendere i cari amici migranti e si immola per le donne (rigorosamente non italiane) vittime di violenza. Femminista radicale, è stata la più faziosa presidente di tutti i tempi, «terzomondista borghese e triste», come la definisce Giancarlo Perna, si è barcamenata tra buonismo nauseante e spudorate contraddizioni in una continua doppia morale da quattro soldi: punta il dito sulle pagliuzze negli occhi altrui senza far caso alle travi infilzate nei propri o in quelli dei compagni. Come ha fatto prima di congedarsi. Commentando il risiko per le nuove presidenze delle Camere ha moralizzato che «non ci può essere la spartizione delle poltrone come nella Prima Repubblica». Proprio lei che nel 2013, è stata eletta col Porcellum senza prendere un voto in un partito al 3 per cento, ottenendo poi lo scranno più alto della Camera, grazie a una spartizione politica da Prima Repubblica. Bersani non sapeva più cosa inventarsi per riuscire a formare un governo, e così tirò fuori, a sorpresa, questo coniglio dal cilindro. Lui fallì lo stesso, ma lei ormai era eletta. La prima sbrodolata demagogica (condivisa con Grasso) è stato l'annuncio di un presunto taglio degli stipendi del 30 per cento, con l'obiettivo di raggiungere il 50 (mai attuato) e la proposta di aumento della produttività per i parlamentari passando da 48 a 96 ore settimanali per 5 giorni su 7 (mai attuato). Chiede di «abolire i vitalizi agli ex parlamentari condannati», ma il suo lo tiene stretto.
Battaglie stupide le sue, come quella di cambiare la carta intestata, da «il» presidente a «la» presidente e i nuovi badge con la declinazione della mansione al femminile. Gli aneddoti si sprecano: commessi mandati a ritirare tailleur di Armani e infilati in buste no-logo; siepi artificiali a spese del Viminale attorno alla casa del fratello nelle Marche; licenziamenti dei collaboratori non graditi (saltò la testa del capo della sicurezza di Montecitorio per le false foto osé della Boldrini circolate su Facebook).
Infine la scorta della polizia (categoria che la signora detesta per partito preso) ritenuta inaffidabile (dodici uomini distribuiti in tre turni sulle 24 ore). Dicendo addio al suo ufficio ha avuto persino il coraggio di dire: «Un po' di malinconia c'è. Sono rimasta da sola, lì, nel buio... trasloco, ma vado in un bell'ufficio, non mi lamento».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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