«Vado all'Urp per incontrare il Rup e ottenere il Durc». È uno dei brillanti esempi con cui Alfonso Celotto spiega un caposaldo della Pubblica amministrazione: «Il linguaggio, deve essere oscuro, meglio se fatto di sigle, una tendenza che risale addirittura al Futurismo, quando le abbreviazioni evocavano la velocità, la rapidità, l'opposto di quel che accade oggi».
Avvocato amministrativista, appassionato di diritto costituzionale, capo di gabinetto in vari governi, da Renzi ai gialloverdi, Celotto è però soprattutto il miglior cantore di vizi e vezzi della Pubblica amministrazione al punto che, nella sua incarnazione da scrittore, ha costruito una saga romanzesca il cui eroe immaginario è «Ciro Esposito, direttore della Gazzetta Ufficiale». Il quale, a chi gli chiede come va, risponde: «Ai sensi della normativa vigente».
Celotto, come il dottor Esposito, è un estimatore del ruolo della Pubblica amministrazione e sebbene nel suol «Decalogo dell'impiegato pubblico» non risparmi il sarcasmo sulla categoria, ammette che i problemi strutturali e normativi sono ben più importanti della tendenza di una parte dei burocrati a seguire la penultima regola: «Nove, undici, tredici, quindici. Ovvero i quotidiani appuntamenti immancabili con giornale, cappuccino, pranzo, caffè».
Il comandamento più importante in realtà è il secondo: «Tieni le carte a posto». «Il sistema -spiega- premia chi non decide. Chi si prende la responsabilità della firma, rischia. E allora crea un paravento di carte, chiede tre pareri a tre enti e così se qualcuno gli chiede conto, può sempre dire che aveva le carte a posto». Il risultato è che tutto rallenta, annega in un mare di procedure, create con l'illusione che il moltiplicarsi dei passaggi e delle certificazioni garantisca contro trucchi e imbrogli. E invece rende impossibile controllare per davvero: così il furbo e il corruttore aggirano senza difficoltà gli ostacoli burocratici, potendo contare anche sui frutti della corruzione, il cittadino comune resta impigliato nella rete. «I due terzi dei casi di corruzione riguardano fatti leciti -spiega Celotto- perché a fronte dell'arbitrio, della procedure complicate, dell'immobilismo diffuso, anche chi ha diritto a volte preferisce ottenerlo come un favore».
C'è poi il capitolo delle assunzioni annunciate dal ministro Brunetta per svecchiare il personale. «Sicuramente la pubblica amministrazione ne ha bisogno -spiega Celotto- perché oggi c'è un'età media del personale elevatissima a causa del blocco del turn over, è mancata la formazione e quindi le competenze e soprattutto è diffuso l'approccio per cui i dipendenti pubblici sono tutti uguali, per cui quello che lavora viene trattato allo stesso modo di chi si fa gli affari suoi. Serve personale nuovo, ma anche formazione e i giusti incentivi».
Eppure ogni riforma è accompagnata da un grande scetticismo: «L'ultimo governo De Gasperi aveva un ministro per la riforma della Pa e si trovano dure invettive contro la burocrazia già nei discorsi di Mussolini e di Cavour -rievoca Celotto- Nel 1993 quando Sabino Cassese divenne ministro della Funzione pubblica, fece una ricognizione delle riforme della
Pa: già allora erano oltre 60. Il problema è proprio che ci sono troppe leggi e troppi enti: per poter cambiare davvero bisogna disboscare. La pandemia ha complicato le cose, ma chissà, magari darà anche la spinta giusta».
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