Che la giornata sia foriera di novità lo si capisce fin dalla mattina. Quando Antonio Tajani lancia un primo segnale di fumo, spingendosi a dire quel che pensa da qualche tempo ma che fino a ieri aveva preferito tacere anche per ragioni di opportunità. «La reazione di Israele» all'attacco subito da Hamas il 7 ottobre, spiega il ministro degli Esteri, «è sproporzionata». È una convinzione che accomuna quasi tutti i leader occidentali, a partire da Washington che ormai da tempo non fa mistero del suo disappunto verso la granitica intransigenza di Benjamin Netanyahu, deciso a sferrare una pesante offensiva anche a Rafah, ultima zona cuscinetto della Striscia di Gaza. Ma Tajani, ovviamente a nome del governo e dopo avere sentito Giorgia Meloni, la mette nero su bianco per la prima volta, dando l'impressione di un cambio di passo imminente nell'approccio di Palazzo Chigi alla crisi in Medio Oriente.
D'altra parte, mentre il ministro degli Esteri dice che «è giusto spingere alla prudenza» Tel Aviv «per quanto riguarda le reazioni militari che coinvolgono la popolazione civile», la premier messaggia sul cellulare Elly Schlein. Poi due successivi contatti telefonici diretti tra Meloni e la segretaria del Pd. Il primo poco dopo pranzo e il secondo più articolato a inizio pomeriggio. È durante quest'ultimo confronto che le due decidono di mettere da parte l'idea iniziale di una mozione unitaria su cui far convergere maggioranza e Pd, strada troppo complicata da percorrere perché divide la questione del riconoscimento della Palestina. Più facile, invece, muoversi sul terreno di un'astensione incrociata, anche se è evidente che quella «pesante» arriva dalla maggioranza (mentre quella dem è «di cortesia» e non numericamente determinante). Sono 159 i deputati di centrodestra che non votano, facendo dunque passare con 128 favorevoli e nessun contrario - la mozione del Pd, a prima firma Schlein, che impegna il governo a «chiedere un immediato cessate il fuoco umanitario a Gaza». È un risultato che in pochi si attendevano: per la prima volta un voto del Parlamento italiano impegna il governo a chiedere il cessate il fuoco nella Striscia.
Un cambio deciso di clima, con la maggioranza che tende la mano al primo partito di opposizione su un tema così centrale come il conflitto in Medio Oriente. E che fa sue le sollecitazioni internazionali di queste ore, arrivate non solo da Washington ma da quasi tutti i leader occidentali. Non a caso, lunedì sera anche Meloni da sempre a favore dei «due popoli e due Stati» aveva ribadito l'importanza di «difendere il diritto di Israele a esistere» e allo stesso tempo «chiedere il rispetto per la popolazione civile». Concetto su cui Tajani è tornato con più forza oggi, incassando il plauso di Schlein durante il suo intervento alla Camera. E su cui ha insistito anche Giangiacomo Calovini, capogruppo di Fdi in commissione Esteri. Intervenendo in Aula a nome di Fratelli d'Italia, ha infatti sottolineato la necessità di «evitare l'escalation militare e l'allargamento del conflitto nella regione per evitare di cadere nella trappola di uno scontro tra civiltà». Il risultato che portano a casa Meloni e Schlein tra Whatsapp e telefonate è dunque la prima intesa bipartisan sulla politica estera, peraltro nel solco della linea Atlantica.
A Palazzo Chigi c'è soddisfazione per una «soluzione comune che ha guardato solo all'interesse del Paese», mentre in Fdi hanno apprezzato il passaggio in cui Schlein ha spiegato di non essere interessata ai derby ma solo a «contribuire come Italia» alla fine del conflitto.
Con l'auspicio sussurra qualcuno a via della Scrofa - che quello di ieri possa essere un primo passo verso un clima nuovo, magari allargando i confini di un confronto costruttivo anche alla riforma del premierato. Un tema, in verità, ben più divisivo del conflitto in Medio Oriente.
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