Zelensky e la moglie su Vogue. Ma come divi da copertina rischiano l'effetto boomerang

Chi gioca con i media rischia di farsi male. Volodymyr Zelensky non fa eccezione alla regola

Zelensky e la moglie su Vogue. Ma come divi da copertina rischiano l'effetto boomerang

Chi gioca con i media rischia di farsi male. Volodymyr Zelensky non fa eccezione alla regola. Il presidente ucraino è finito nel mirino dei social per un lungo servizio fotografico, che sarà pubblicato in copertina da Vogue internazionale, in cui compare con la moglie Olena.

Le immagini sono scattate da una star della fotografia mondiale, Annie Leibovitz, il testo che le accompagna è di una firma del giornalismo anglo-sassone, Rachel Donadio, Olena Zelenska si spende per la causa ucraina («Non abbiamo dubbi che vinceremo. E questo ci fa andare avanti»). In più, nelle varie location scelte, sulle scale del palazzo presidenziale, tra i soldati all'aeroporto di Kiev, abbracciata al marito, indossa e fa pubblicità ai marchi più noti della moda del suo Paese. Le intenzioni sono comprensibili, ma il risultato, raffinato ed elegante, non si discosta molto dai toni calligrafici di un normale servizio dedicato a vestiti e modelle.

«Zelensky ha fatto un lavoro straordinario nel battere i russi nella guerra dell'informazione», ha commentato sul suo account Twitter, il politologo Ian Bremmer. Che aggiunge, però, una chiusa severa: «Servizio fotografico di moda in tempo di guerra: pessima idea».

Anche in Italia le foto di Zelensky sono finite tra le notizie più commentate su Twitter. L'hashtag (l'espressione chiave che sui social identifica un tema) era di quelli pesanti: «ZelenskyWarCriminal. A questo si aggiunge il fatto che molti degli account che hanno fatto rimbalzare la polemica erano rigorosamente anonimi e senza storia. C'è più di un motivo dunque per sospettare che la tempesta digitale ai danni del numero uno ucraino sia stata guidata e orientata da «troll» e simpatizzanti russi.

Con tutte le avvertenze del caso, però, il pericolo di sovraesposizione è per Zelensky più che reale. E rischia di accentuare quell'effetto saturazione che in molti sembrano notare nelle opinioni pubbliche occidentali a proposito del conflitto ucraino.

Visto il suo passato, Zelensky è da considerare un professionista dei media: sin dalle prime settimane dell'invasione ha messo al lavoro i collaboratori della società di produzione da lui fondata, Kvartal 95 (quartiere 95, quello in cui è nato a Kryvyj Rih, nel centro del Paese) per raccontare la sua guerra. Il frutto del lavoro degli sceneggiatori ed esperti di immagine del presidente è stato in qualche caso notevole. Poi, già nel tour virtuale di discorsi e apparizioni di fronte ai maggiori parlamenti nazionali, ha iniziato a far capolino qualche nota di maniera. Zelensky paragonò la resistenza di Mariupol a quella di Verdun di fronte al Parlamento francese, citò Churchill alla Camera dei Comuni di Londra, parlò di Perl Harbor al Congresso americano, ricordò il Reagan del discorso di Berlino («Mister Gorbaciov, butti giù questo Muro») al Bundestag tedesco.

Tutto giusto, tutto perfetto, da risultare perfino artefatto. E tale da ingenerare il dubbio che la retorica delle immagini e delle citazioni finisca oggi sempre per prevalere sulla realtà.

L'analogia che viene immediata è quella con il tono e la storia di Don't look up, il recente film di Leonardo di Caprio: l'annuncio della possibile (e sempre più probabile) fine del mondo per l'impatto della terra con una cometa si trasforma nella società ipermediatizzata in una semplice occasione di dibattito social, in un episodio tra i tanti del «reality show» in cui siamo immersi.

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