No, Eitan non si trova né in una «specie di buco» né le sue condizioni sono quelle di «un soldato israeliano prigioniero nelle carceri di Hamas». Parole brutte, sfuggite di bocca l'altroieri a zio Or Nirko, il marito di Aya, la zia paterna tutrice legale dell'«orfano del Mottarone»: il bimbo di 6 anni unico superstite della strage della funivia in cui quale ha perso genitori, fratellino e bisnonni.
In realtà Eitan Biran si trova ancora oggi nell'appartamento del nonno materno che sabato scorso lo ha rapito portandolo - con modalità ancora poco chiare - dall'Italia in Israele.
Un viaggio metà in auto, metà su un jet privato che si è concluso a Tel Aviv; da qui Shmuel Peleg, 58 anni, ex militare dell'esercito con la Stella di David, ha condotto il piccolo nel suo elegante appartamento in un grattacielo a Petha Tikva, a ridosso della capitale. Anche ieri da dietro la porta di casa si sentiva la voce allegra di un bambino: Eitan, ovviamente, non ha paura del nonno; gli vuole bene quanto vuole bene a zia Aya e zio Or con i quali viveva serenamente prima del folle blitz di nonno Shmuel. Il quale, da ieri, proprio in quella casa, si trova agli arresti domiciliari: una condizione evidentemente incompatibile con la convivenza insieme al nipotino. Non si esclude infatti che possa arrivare un provvedimento di allontanamento da parte delle autorità israeliane finalizzato a tutelare il bambino in un luogo più sicuro e protetto. Tutto nell'attesa - si spera breve - di un'auspicabile risoluzione concordata della vicenda, col rientro in Italia del piccolo.
Da parte del «ramo paterno» della famiglia di Eitan c'è però la voglia di accelerare ulteriormente i tempi, tanto che ieri la coppia Nirko-Biran ha annunciato di «essere pronta a volare in Israele per riprendersi Eitan». Un viaggio per riabbracciare Eitan e, magari, poterselo riportare nella loro villetta nella campagna pavese. Gli zii materni, pur soddisfatti dagli ultimi sviluppi giudiziari, non cantano vittoria: «La strada per riportarlo a casa è ancora lunga. Finora abbiamo avuto con lui un piccolo colloquio. Siamo pronti ancora a dialogare con la famiglia Peleg. Noi gli abbiamo concesso tutte le visite, anche se temevamo che potesse succedere quello che è accaduto. Mia moglie Aya è a pezzi, distrutta». Poi, un sospetto: «Nonna Etty ha sicuramente collaborato con l'ex marito nel sequestro di Eitan, ma i complici in questa storia sono tanti. Non avrebbero mai potuto fare tutto da soli».
E a proposito di possibili «complici», spunta anche una figura inquietante: quella di Chaim Kammerer, secondo marito di nonna Etty, il quale, scrive il Corriere della Sera «ha trascorso negli
Stati Uniti, il suo Paese di nascita, oltre sedici anni in prigione per numerosi e ripetuti reati che vanno dallo spaccio di droga all'aggressione a mano armata». Forse non c'è alcun nesso con il sequestro di Eitan. O no?
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