Zone rosse, spunta l'atto: il decreto c'era ma Conte non lo firmò

Agli atti dell'indagine della Procura di Bergamo la bozza di decreto che avrebbe permesso di chiudere Nembro e Alzano Lombardo in Val Seriana. Poi l'idea venne scartata

Zone rosse, spunta l'atto: il decreto c'era ma Conte non lo firmò

Il documento era pronto, ma Giuseppe Conte non lo firmò mai. Che la mancata chiusura della Val Seriana fosse stata la conseguenza di un ingranaggio bloccato, beh, era cosa ormai nota. Ma adesso trapela un documento, rivelato da Tv7 su Rai 1 e da Gessica Costanzo su Valseriananews, che mette in fila i tasselli delle responsabilità. Si tratta della bozza integrale del decreto che avrebbe dovuto disporre la zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro. L’atto, contenuto nel faldone dell’inchiesta della procura di Bergamo, è firmato dal ministro Speranza: dunque era pronto ad essere attuato. Peccato manchi la controfirma dell’ex inquilino di Palazzo Chigi. Ovvero quella dell’avvocato del Popolo, neo leader del M5S.

I fatti sono ormai noti. Dopo la scoperta del “paziente zero” a Codogno, il 21 febbraio l’Italia piomba nel caos. Ore dopo ore, minuti dopo minuti, le notizie di nuove infezioni nel Belpaese si fanno sempre più diffuse. Tutte concentrate al Nord. Prima il decesso inatteso a Vo Euganeo, poi il contagio che si allarga a macchia d’olio in buona parte della Lombardia. Per contenere il virus, il governo - d’intesa con le regioni - chiude in casa i cittadini delle aree più colpite. Vietato entrare ed uscire. In Val Seriana il virus arriva poco dopo, il 23 febbraio, almeno ufficialmente, e inizia a correre rapidamente. Le polemiche sull’ospedale di Alzano, prima chiuso e poi riaperto, sono ormai note, e in corso ci sono le indagini della magistratura, con cinque avvisi di garanzia già spiccati. Ma gli interrogativi si concentrano sopratutto sul perché, nonostante la rapida diffusione del coronavirus in Valle, a Roma il consiglio dei ministri non abbia mai deciso di disporre la zona rossa anche nella Bergamasca.

Eppure presupposti in quelle ore ci sono tutti. Innanzitutto i dati. E poi anche il Cts tra il 2 e il 3 marzo suggerisce al premier Conte di estendere le misure di contenimento alla Val Seriana. Giuseppi invece temporeggia: chiede ulteriori chiarimenti all’Iss, prende tempo, non decide. La nota di Brusaferro, favorevole alla chiusura, viene redatta il 5 marzo. Lo stesso giorno Speranza firma il decreto, mentre il ministero della Difesa e quello dell’Interno mobilitano i loro uomini in divisa. Come ricostruito da Il Libro nero del Coronavirus (clicca qui), nella Bergamasca in quelle ore vengono inviati circa 400 uomini tra carabinieri, polizia, soldati e fiamme gialle per chiudere le tante vie di accesso alla valle. Le forze dell’ordine si sistemano in hotel, preparano il piano di intervento, poi attendono il via libera alle operazioni. Tutto è pronto per circondare la valle infetta. Ma l’autorizzazione non arriverà mai.

Eppure, scopriamo oggi, il decreto c’era. In quelle due brevi pagine si legge che il governo aveva ritenuto “di estendere le misure urgenti al contenimento del contagio di cui all’articolo 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2020 anche ai comuni di Alzano Lombardo e Nembro, siti nella provincia di Bergamo”. La proposta arrivava del ministro Speranza, sentiti i colleghi Lamorgese, Guerini e anche Gualtieri. Il presidente della Regione Fontana pare ne fosse informato. Per il resto il decreto non faceva che aggiungere i due Comuni all’elenco già scritto nelle zone rosse disposte qualche giorno prima.

Perché di questa bozza non se ne fece nulla? Perché si preferì temporeggiare, per poi disporre l’8 marzo, tre lunghi giorni dopo, la chiusura dell’intera Lombardia? E ancora: il ritardo della zona rossa aiutò la diffusione del contagio? Infine, ultima domanda: è per evitare di dover rispondere a queste domande che il Viminale si è opposto alla pubblicazione degli atti relativi alla missione delle divise in Val Seriana?

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