Un Polo museale a Roma. Ecco come si deve fare

I musei della Capitale, pubblici e privati, si possono federare. Come accade a Venezia

Il Museo di Roma. L'insieme di tutti i Musei di Roma. Un museo unico, rappresentativo della città, che celebri e racconti in modo organico la storia di Roma antica. Da realizzare nell'area del Campidoglio, spostando la politica da Palazzo Senatorio per riunire le collezioni di altri istituti, come il museo della Civiltà Romana. È l'idea di Carlo Calenda, candidato sindaco di Roma. Una proposta bocciata dal sussiegoso mondo della cultura. E, in verità, una proposta timida, che sembra trascurare, per difetto, il nesso fra Roma antica e Roma moderna, attraverso il Rinascimento, interpretato da Raffaello, e l'età neoclassica, testimoniata da Antonio Canova.

Così ci indirizzano, nella visita a Roma, tutte le guide, a partire da quella, per il viaggiatore colto e curioso, di Gregorio Roisecco: Roma antica, e moderna o sia Nuova descrizione della moderna città di Roma, e di tutti gli edifizj notabili, che sono in essa, e delle cose più celebri, che erano nella Antica Roma, del 1745. La guida di Gregorio Roisecco, che io posseggo e ho variamente compulsato, è uno strumento essenziale, che nasce in un contesto di riorganizzazione urbanistica della città e, per la prima volta, ne suggerisce anche la visita per rioni, oltre a quella classica per giornate. Ebbe successo fra gli stranieri che viaggiavano in Italia per il Grand Tour. Calenda certamente la conosce; molti, che lo hanno imprudentemente contestato, la ignorano. Così come dimenticano la lettera sulla grandezza di Roma di Raffaello con Baldassarre Castiglione a papa Leone X (altre stature rispetto ai nani, politici e tecnici, di oggi). Roma antica è vista come riferimento essenziale per la conoscenza e la produzione creativa di Raffaello, il quale sembra che parli dell'abisso in cui è stata precipitata Roma oggi, da cattivi amministratori e piccoli retori. E non manca di chiamare in causa i miopi responsabili contemporanei: «Ma perché ci doleremo noi de' Goti, Vandali e d'altri tali perfidi nemici, se quelli li quali come padri e tutori dovevano difender queste povere reliquie di Roma, essi medesimi hanno lungamente atteso a distruggerle?... quanti, dico, Pontefici hanno atteso a ruinare templi antichi, statue, archi e altri edifici gloriosi!... Quanta calce si è fatta di statue e d'altri ornamenti antichi! che ardirei dire che tutta questa Roma nuova che ora si vede, quanto grande ch'ella si sia, quanto bella, quanto ornata di palagi, chiese e altri edifici che la scopriamo, tutta è fabricata di calce e marmi antichi».

A questo empito di grandezza e di orgoglio per Roma antica e moderna sembra essersi ispirato Calenda. E, invece, Federico Giannini, appassionato direttore di Finestre sull'Arte, ne coglie solo l'aspetto meccanico relativo all'accorpamento delle opere per epoca e materia, e aggiunge che «l'arbitrio di chi vorrebbe spostare a piacimento le collezioni di mezza Roma da un museo all'altro è del tutto irrealizzabile». Tutte le collezioni di antichità romane dentro ai Musei Capitolini «non ci stanno». E stigmatizza: «i Musei Capitolini non sono di concezione vecchia, come dice Calenda, ma anzi sono una sorta di miracolo museologico. Nessuno storico dell'arte, archeologo, museologo, professionista della cultura serio avallerebbe tale progetto». Il consigliere del CdA della Rai, Rita Borioni, non ama Calenda, e sostiene che «creare a tavolino un Grande Museo non ha senso, a meno di non pensare di razziare opere da altri musei. La ragione per cui i Musei Capitolini non possono avere lo stesso appeal dei musei Vaticani, non dipende dalle loro dimensioni, ma dal fatto che non ci sono la Sistina di Michelangelo, le Stanze di Raffaello, il Laocoonte», spiega. Inoltre «immaginiamo i Musei Capitolini con 6,5 milioni di visitatori (quanti quelli dei Vaticani nel 2018): è chiaro a tutti che produrrebbero file interminabili in piazza del Campidoglio fino almeno a piazza Venezia e agli ingressi dei Fori».

Ma spostare non vuol dire «razziare». Ed è stato fatto ben di peggio «spostando» il Marc'Aurelio dalla piazza del Campidoglio a un trampolino di lancio dentro i Musei capitolini, e trasferendo (cioè cancellando) il Museo di Arte Orientale da palazzo Brancaccio all'Eur nel Museo delle scienze. Non ho sentito allora un gemito, un lamento, di quelli che oggi irridono la proposta di Calenda, nelle sue linee generali. Tomaso Montanari, anche lui storico dell'arte avvezzo al potere e locupletato di nomine dal ministro Franceschini (che disprezza), attacca: «Mi ero perso questa perla. Vuol accorpare i musei, cancellando la storia e il primo museo pubblico del mondo. Come mettere i vetri e il tetto al Colosseo, perché così è vecchio, rotto e scomodo. Forse non abbiamo mai avuto una classe dirigente così abissalmente ignorante». Ilaria Miarelli Mariani, garrula docente dell'Università di Chieti-Pescara, boccia senza appello la proposta di Calenda. «Il progetto, vago e fumoso, di trasformare i palazzi del Campidoglio in un grande museo della romanità è follia. Spostare opere definite affastellate, ma che in realtà seguono un criterio antico ancora preziosamente conservato, per preparare i visitatori alla visita al foro romano non ha senso alcuno. Come l'idea di spostare i quadri della Pinacoteca Capitolina a Palazzo Barberini. Calenda parla di opere e allestimenti storici come se stesse parlando di un emporio. Intanto tutto ciò è illegale, ma soprattutto, antistorico e demagogico».

Interviene nel dibattito anche Flaminia Gennari Santori, la direttrice di Palazzo Barberini: «È una cosa insensata, talmente assurda che fa un po' ridere. Neanche al master per curatori più farlocco del globo lancerebbero una simile idea». Ragazza intelligente, ha preso male la proposta, apparentemente provocatoria (ma tutta da approfondire) di Calenda. Bisogna leggerla bene, e interpretarla, magari emendandola e raddrizzandola. Non ce la può fare, afflitto dalla sua boria e schiacciato dalla sua presunzione, Montanari, indisponibile a riflettere. E troppo suscettibili sono gli esperti che contrastano Calenda, non comprendendo la intelligenza dello spunto. Vengano da me che, con Nicola Spinosa, inventai i poli museali di Venezia, Firenze, Roma e Napoli, a misurarsi: non si tratta di spostare opere, ma di federare i musei appartenenti a enti e Stati diversi. Non sono forse a Roma i Musei vaticani? E perché vengono considerati in quota a un altro Stato, come se il Vaticano non fosse nel centro di Roma? E non era casa del Papa il Quirinale? E Scipione Borghese, creatore della omonima galleria, ora dello Stato, non era un cardinale? E cioè un uomo di chiesa?

Parigi è il Louvre. E Roma è l'insieme dei suoi musei e delle sue aree archeologiche, che convivono. Roma deve essere un museo continuo, senza divisioni tra comunali, statali e privati, visitabile con un solo biglietto, dai Musei Capitolini a villa Albani, dalla Basilica di San Pietro a Santa Maria del Popolo (che è del Fec, Fondo edifici di culto, cioè ministero dell'Interno, e nondimeno è una chiesa officiata), a Santa Maria dell'Anima, che è dei tedeschi, a San Luigi dei Francesi, che è dei Francesi. Più del Louvre è questo Museo senza confini spirituali, appartenente a tutti, beni del popolo cristiano, non dello Stato, del Comune, della Chiesa, dei privati. Comunità della conoscenza. Che differenza fa, rispetto alla proprietà giuridica, chi viene a Roma, tra Palazzo Barberini (Stato), Palazzo Spada (Stato), Palazzo Corsini (Stato), Palazzo Colonna (privato), Palazzo Doria Pamphilj (privato), Palazzo Pallavicini (privato), Palazzo Braschi (comunale)? Sono beni universali, di tutti. Qualcuno si pone il problema, a Venezia, che il Museo Guggenheim e Palazzo Grassi (i più frequentati) siano privati, le Gallerie dell'Accademia, la Ca' d'Oro e Palazzo Grimani dello Stato, il Museo Correr e Ca' Pesaro del Comune? Una città internazionale come Venezia, con comitati stranieri che, attraverso l'Unesco, ne finanziano i restauri, ha adottato il Museum Pass. I muri si alzano solo a Roma?

La proposta di Calenda va interpretata, ed è sostanzialmente giusta. Ne va condiviso lo spirito. Un solo biglietto deve offrire le chiavi di Roma, deve dar diritto, in una settimana, ad aprire ogni porta. Si deve vendere on line, come e con i soggiorni negli alberghi. Roma è un museo, miracolosamente articolato, non un accumulo di conquiste come il Louvre. E Palazzo Farnese, che è dello Stato italiano, non deve essere (solo) la residenza dell'ambasciatore francese, che ne dispone a suo piacimento, ma un museo aperto a tutti. La Galleria dei Carracci è patrimonio dell'Umanità. E non possono essere solo palazzi del potere i ministeri e lo stesso Palazzo Chigi che conserva, inaccessibile, il più bel soffitto del Baciccio, forse mai visto dal talebano Montanari, dal gentile Giannini, dalle querule Borioni, Miarelli Mariani e dalla impulsiva Gennari Santori. Provino a riflettere non sulle ingenuità, ma sulla sostanza della proposta di Calenda. Tutto meno che una provocazione. Una mazzata ai poteri separati, alla parcellizzazione della unità e unicità di Roma, museo di se stessa e della sua storia.

I sostenitori dei musei come monadi impenetrabili, atomi incomunicanti, alla Montanari, la finiscano di difendere i loro orti, bocciando idee grandi e nobili. Sono piccoli burocrati, scolastici tecnici e nemici del popolo. Tutte le grandi idee sono realizzabili da uomini capaci e convinti.

Altrimenti anche il Louvre non esisterebbe. Invito Michetti e Matone a sostenere l'idea, di Calenda e mia, di un grande Museo antico e moderno che si chiama, scavi, chiese, musei, ville, palazzi, porti: Roma. Il museo di Roma.

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