Pompei, ennesimo crollo Ma i 900 supercontrollori protestano: «Siamo pochi»

Pompei, ennesimo crollo Ma i 900 supercontrollori protestano: «Siamo pochi»

Se un lettore scrive indignato al proprio giornale denunciando come gli scavi di Pompei siano in balìa di «incuria, assenteismo e illegalità», il Soprintendente risponde piccato: «Avendo l’onere di guidare una struttura che conta oltre 900 dipendenti e comprende aree archeologiche e musei tra i più importanti d’Italia, trovo particolarmente offensivo e del tutto gratuito il modo con cui ci si arroga il diritto di fare certe affermazioni (...)».
Capita l’antifona? Nel sito archeologico di Pompei accade di tutto: furti quotidiani, abbandono di rifiuti, custodi assenteisti (ma protetti da una forte lobby sindacale), perfino branchi di cani che hanno trasformato in cucce i ruderi delle antiche ville romane. Ma guai a denunciarlo pubblicamente. Alla Sovrintendenza speciale di Napoli e Pompei non solo sono refrattari alle critiche, ma si lamentano addirittura di essere «inferiori al numero di impiegati previsti dalla pianta organica». Il risultato è che il parco archeologico che dovrebbe essere il fiore all’occhiello della nostra cultura, si conferma il «sito della vergogna» come lo definì il Guardian nel 1993. Da allora la situazione è addirittura peggiorata. Con crolli che purtroppo sono diventati frequentissimi, finendo spesso sulle prime pagine della stampa internazionale: per l’immagine dell’Italia, una vera iattura. E sarà così anche per il muro realizzato con tecnica «Opus incertum» (quasi un presagio di crollo...) venuto giù l’altra sera nei pressi di Porta di Nola, vicino la cinta muraria della città antica. A terra sono rimasti circa tre metri cubi di macerie e, soprattutto, un avvilente senso di impotenza. E - a sentire la denuncia dell’Associazione nazionale archeologi - il peggio deve ancora venire: «A un anno dal crollo della Schola Armaturarum a Pompei di concreto non si è fatto nulla». Gli archeologi commentano con «rammarico e rabbia» la notizia del crollo del muro avvenuto ieri. E avverte: «Continua a mancare la manutenzione ordinaria, unica possibile cura per salvare Pompei. Temiamo che nei nuovi mesi vedremo crolli sempre più frequenti e gravi». Nel novembre 2010, sull’onda dell’emozione per il crollo della Schola Armaturarum, vennero fatte molte promesse. Che però sono rimaste lettera morta.
«Il crollo - spiegano i tecnici - è stato causato dalla mancanza di manutenzione combinata con la pioggia; le piante crescono incontrollate sulle strutture, durante l’estate si seccano e con le prime piogge favoriscono le infiltrazioni d’acqua che gonfiano e fanno crollare i muri». Insomma, tutta colpa di Giove pluvio: come in altre decine di casi analoghi, il responsabile è sempre lui; roba da querelarlo, questo criminale di Giove pluvio.
Già nei mesi scorsi lo stesso muro di contenimento Borbonico (ciottoli di lava) era stato interessato da un crollo ma nessuno sembra avergli dato peso visto che con il trascorrere dei mesi successivi le pietre cadute sono scomparse (ma non certo per lavori).
Intanto l’esercito dei 900 dipendenti della Sovrintendenza non si sente assolutamente sul banco degli imputati, anzi rivendica i propri sacrifici: «Il crollo avvenuto nelle ultime ore nell’area archeologica di Pompei è stato accertato in seguito a una serie di sopralluoghi avvenuti dopo la recente ondata di maltempo anche se si è ancora in attesa dello sblocco di risorse utili per interventi significati nella zona degli Scavi. Misura disposta dopo la seduta del 13 dicembre 2010 del Consiglio superiore, che ha definito la strategia da seguire per la salvaguardia del sito».


«Nei mesi scorsi - sottolineano quegli stakanovisti dei dirigenti Sovrintendenza - abbiamo realizzato, attraverso sopralluoghi mirati su tutta l’area archeologica, una carta del rischio e abbiamo messo a punto, insieme alla Direzione generale dell’antichità e al Segretario generale, un programma straordinario degli interventi per il recupero dell’area archeologica secondo quanto previsto dal decreto legge 34 del 2011». Un lavoro veramente sfibrante. Urge qualche meritatissimo giorno di ferie.

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