ROMA - Italia né quinta, né settima, ma sempre e invariabilmente prima o quanto meno sul podio, se si considera il dato della pressione fiscale riferito al pil depurato dalla componente di economia sommersa stimata, ossia di economia che, per definizione, le tasse non le paga. È quanto sostiene l'ufficio studi del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, commentando i dati diffusi oggi dall'Istat sui conti pubblici 2009, secondo i quali il nostro Paese si colloca al quinto posto nella classifica europea del carico fiscale, scalando due posizioni rispetto al 2008.
In realtà, i commercialisti sottolineano come, se si considera la pressione fiscale sulla sola componente del pil che le imposte le paga per davvero, ossia sulla componente depurata della quota stimata di economia sommersa, si vede chiaramente come la pressione fiscale "reale" in Italia sia assai superiore: 51,6% nel 2009 rispetto al 50,8% nel 2008. L'ufficio studi dei commercialisti, che monitora il dato della pressione fiscale "reale" dal 2000, rileva come quello del 2009 sia un record negativo assoluto. La pressione fiscale "reale" era infatti al 51,0% del 2007; al 50,0% nel 2006; 48,7% nel 2005; 49,0% nel 2004; 50,2% nel 2003; 49,8% nel 2002; 51,1% nel 2001; 51,2% nel 2000.
Anche depurando i dati del pil degli altri Paesi della componente di sommerso stimata, le elaborazioni dei commercialisti dimostrano come per tutti gli anni di osservazione si arriva ad una situazione per la quale l'Italia si colloca al primo posto, o comunque entro i primi tre posti, della classifica europea dei Paesi con la maggiore pressione fiscale.
«Questo perché - spiega Claudio Siciliotti, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili - la componente di economia sommersa stimata in Italia è percentualmente più rilevante di quella di tutti gli altri Paesi europei, esclusa la sola Grecia.
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