
Ogni volta che si apre un nuovo faldone si allunga la striscia di sangue dei vinti. E succede ancora, anche oggi, a ottant'anni dalla Liberazione.
Da qualche giorno le sentenze, fino a oggi del tutto inedite, del Tribunale di guerra di Torino emanate fra il 30 aprile e l'8 maggio 1945, a guerra finita, sono state messe a disposizione, e rese pubbliche online, dal «Centro studi sul periodo storico della Rsi» che ha sede a Salò ed è presieduto dallo storico Roberto Chiarini. Si tratta delle carte riguardanti l'attività del Tribunale del Popolo della Divisione partigiana «Giustizia e Libertà» del Cuneese «Duccio Galimberti» e in particolare i casi di 54 imputati e 39 sentenze di fucilazioni «nella schiena», di cui 24 «da eseguirsi immediatamente». I capi di imputazioni più ricorrenti? «Aver collaborato con le forze armate nazifasciste» e «portato volontariamente armi in territorio italiano, in epoca posteriore all'8 settembre 1943» e «aver commesso fatti diretti a commettere devastazione e strage allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato» arruolandosi nelle forze armate della Repubblica sociale italiana. Significativa tra gli imputati la componente femminile: le donne processate sono undici, di cui una accusata di «reati di opera di spionaggio a carico dei partigiani procurandone arresti e morte», e condannata a «pena capitale» con «l'ordine che l'esecuzione abbia luogo davanti al Ristorante Apollo, dove furono fucilati quattro partigiani».
La digitalizzazione delle sentenze unita alla loro inventariazione, realizzata da Anna Paonita e consultabile open access sul sito ww.centrorsi.it rientra nell'ambito degli studi sul tema della giustizia straordinaria in Italia nel passaggio dal fascismo al dopoguerra che da anni suscitano un forte interesse. Il Centro studi sulla Rsi - fondato nel 2002 per volere di Marzio Tremaglia, che fu assessore alla Cultura della Regione Lombardia - se ne occupa dal 2008 con lavori apripista sia sul caso bresciano (che riveste un'importanza eccezionale, essendo stato il territorio su cui hanno insistito i vertici dello Stato fascista nell'ultima fase, la più cruenta e lacerante), sia riguardanti la Corte d'Assise Straordinaria e Speciale di Brescia e la Delegazione provinciale dell'Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo. Molte altre ricerche sono in corso, o sono state già pubblicate, avvalendosi anche della banca dati sulle Corti d'Assise straordinarie realizzata dal 2018 per conto dell'Anpi e dell'Istituto nazionale «Ferruccio Parri» (www.straginazifasciste.it/cas), che può contare però su finanziamenti ben più consistenti.
«La questione dell'epurazione del personale militare, politico e burocratico fascista e, più in generale, della stessa classe dirigente nazionale che si era compromessa con la dittatura, già incandescente sul piano politico al momento della Liberazione, si è trasformata presto in uno dei nodi storiografici più dibattuti», spiega Elena Pala, ricercatrice dell'Università Statale di Milano e studiosa di punta sul periodo della Rsi. «La sfida dell'epurazione ha catalizzato su di sé il più alto grado di tensione politica nel passaggio dal fascismo alla democrazia: ha coagulato fin dal primo affaccio della Resistenza tutte le pulsioni e le rivendicazioni volte a consumare un radicale cambiamento nella vita della nazione. Ha tracciato in seguito la linea di frattura principale all'interno dei partiti antifascisti a partire dal momento in cui si è messa mano alla costruzione del dopo-fascismo. Ed è su questa partita che sostanzialmente si è deciso l'equilibrio politico che poi dominerà la storia politica dell'Italia repubblicana».
Per quanto riguarda le sentenze, molte le domande su cui gli storici dovranno ora indagare. Ad esempio. Su quali materiali istruttori, preparati forse dalla Commissione giustizia del Corpo volontari della libertà, lavorò il Tribunale? Come fu applicata la legislazione speciale? Chi furono e quale ruolo assunsero i giudici del Tribunale? Chi erano gli imputati rinviati a giudizio, condannati o assolti? L'impressione è che si sia trattato di una giustizia improvvisata, senza dibattimento: chi si era compromesso col fascismo, veniva convocato, accusato, giustiziato. Le 39 fucilazioni furono molto probabilmente tutte eseguite, anche se per averne conferma si dovranno incrociare i nomi dei condannati con quelli dei caduti della Rsi.
Oltre alla domanda, però, si posso fare anche alcune considerazioni. Una prima impressione, leggendo le carte (che non provengono da una istituzione pubblica, ma dalla collezione di un privato, un professionista bresciano appassionato di Storia che ha salvato il materiale dalla dispersione) è che alla sbarra non venga chiamato il gotha del fascismo, ma i pesci piccoli e, più in generale, quella fascia indistinta di popolazione che nel Ventennio ha oscillato tra la militanza, l'adesione o il semplice sostegno di convenienza al regime.
«Siamo consapevoli - è la considerazione di Roberto Chiarini - che queste sentenze costituiscono solo una parte di quanto è avvenuto sul piano nazionale. Così come si è consapevoli che quella giudiziaria è solo una delle possibili fonti per ricostruire lo spaccato del fenomeno dell'epurazione che ha investito l'Italia alla fine della guerra. Ma ci conforta il rilievo che essa costituisce pur sempre una fonte privilegiata.
In fondo, come aveva osservato a suo tempo un intellettuale del calibro di Piero Calamandrei, il giudice e lo storico, se non fratelli, sono quantomeno cugini. Entrambi, infatti, hanno il compito di ricomporre brandelli del passato e il processo resta il solo caso di esperimento storiografico de vivo».
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