A partire dalla seconda metà del '900 è in atto un profondo processo di trasformazione della sensibilità nei confronti degli animali. Esso si traduce nell'espandersi del cerchio dell'etica, fino a comprendere anche gli animali «non-umani», nei cui confronti l'uomo comincia a riconoscere di avere precisi doveri, giungendo in alcuni casi ad attribuire loro dei diritti. I primi risultati si vedono anche in sede legislativa, ad esempio, con norme più severe contro il maltrattamento degli animali.
Ma soprattutto sono ormai innumerevoli libri e articoli che dibattono i problemi di etica interspecifica, dopo Animal Liberation di Peter Singer che, nel 1975, rimise in discussione i rapporti tradizionali tra uomo e animale, affermando il preciso dovere di non arrecare sofferenza a qualsiasi essere sensibile. Successivamente, nel 1984, Tom Regan, con The Case for Animal Rights, ha affrontato il problema dal punto di vista della teoria dei diritti, sostenendo la sostanziale equiparazione giuridica fra tutti i «soggetti-di-una-vita», per usare il suo linguaggio. Anche in Italia, nel 1985, è stata pubblicata per il Mulino un'antologia su I diritti degli animali, a cura di Giuliana Lanata, mentre il Centro di Bioetica di Genova ha organizzato un importante convegno del 1994 su «Filosofi e Animali nel Mondo Antico» (gli atti sono stampati dalle Edizioni ETS a cura di Silvana Castignone e Giuliana Lanata).
L'idea che tra uomo e animale non c'è e non ci debba essere una cesura brutale affiora di continuo nella filosofia antica greca e romana e non è certo un'invenzione dei moderni animalisti. Gli animali sfidano la riflessione e si impongono al pensiero di tutti i filosofi di ogni epoca, a partire da Pitagora per arrivare a Porfirio. Ma non sono solo i nostri classici ad affrontare questi temi. A riprova, è appena uscito Il processo degli animali contro l'uomo (De Piante, pagg. 142, euro 18, traduzione di Paola Tonussi): una favola mistica degli Ikhwan al Safa, i Fratelli della Purezza, una società segreta islamica sviluppatasi tra l'VIII e il X secolo, con sede a Bassora. Il testo è estratto dall'Enciclopedia di questa Setta di sapienti ed è pieno di richiami coranici, intriso di neoplatonismo e veggenze sufi e senz'altro gli specialisti potranno farne molte letture esoteriche. Al lettore comune bastino il godimento ricavato dalla lettura di quello che probabilmente è il primo testo animalista della storia, con struttura narrativa paragonabile alle Mille e una notte, gli indiscutibili punti di contatto tra la favolistica islamica e la cristiana.
Al cospetto del saggio re Jinn, in un'isola fuori dalle rotte di navigazione, gli animali processano gli uomini, i quali pensano di avere il diritto di ridurli in schiavitù. È un continuo botta e risposta tra i migliori rappresentanti degli adamiti e delle bestie in cui si muovono argomentazioni, a prima vista imbattibili e poi smontate dall'avversario. Anche gli angeli e le gerarchie celesti della mitologia islamica intervengono per dar ragione agli animali e tutti esordiscono e concludono ogni intervento con una laude all'Altissimo, «Creatore e plasmatore di tutto, motore di tutti gli esseri viventi, di ciò che cresce e rimane immutato».
L'umanità esce a pezzi dal processo e si salva soltanto per i suoi «puri, beati e devoti santi», gli asceti, «il fiore della creazione, le migliori, le più pure persone di belle e lodevoli azioni e opere pie». Evidentemente i Fratelli della Purezza propongono per gli adepti un modello di vita gradito e simile alla divinità: messaggio universale di ogni religione monoteista.
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