«A i lettori debbo una confessione: i protagonisti di questa storia mi piacciono». È unammissione insolita da parte di uno storico, ma Gianni Scipione Rossi ha voluto concludere così il suo saggio Storia di Alice (Rubbettino, pagg. 200, euro 15). Del resto, è una simpatia che traspare già nel sottotitolo La Giovanna dArco di Mussolini. Altri autori e altri editori avrebbero preferito definire Alice de Fonseca come lennesima «amante di Mussolini»: una tentazione comprensibile, se si pensa che fu una della più affascinanti, eppure una meno citate, «donne del duce».
Che si trattasse di una donna speciale non cè dubbio, come specialissimi sono la sua vicenda e i personaggi che la circondano. Allanagrafe risulta «principessa Alice Pallottelli-Corinaldesi de Fonseca», così si firma in una lettera piena dammirazione scritta a Gabriele dAnnunzio subito dopo il volo su Vienna dellagosto 1918: «Prode Soldato e Altissimo Poeta, lo scoppio della guerra mi trovò fanciulla in un educandato di Londra, dove provai tutte le emozioni dei raids tedeschi. Sposai nel 1916 un nobile italiano, presentemente allambasciata di Parigi, e fui costretta a lasciare Londra per dare alla luce il mio bimbo, Virgilio. A Parigi un proiettile del cannone fantasma, caduto quasi nel mio appartamento, mi fece fuggire in Italia». Il «cannone fantasma» impiegato per la prima volta dai tedeschi il 23 marzo 1918, aveva una gittata di oltre 130 chilometri, e terrorizzava i parigini sul finire della guerra.
Ce nera più che abbastanza per affascinare dAnnunzio, che la chiamerà Alis. Dieci anni dopo, nel 1928, secondo i documenti del Vittoriale degli Italiani, la principessa alloggia al Savoy Palace Hotel di Gardone Riviera, da dove scrive al poeta, sessantacinquenne, biglietti appassionati: «Buona notte mio dolce Ariel, io rimango nascosta tra i cuscini, cercami e mi troverai
». Altri dieci anni dopo, con dAnnunzio già morto, Mussolini era ancora gelosissimo dei loro incontri passati, almeno secondo il diario della Petacci; il duce riferì a Claretta di avere detto a Alice: «Sei stata una settimana là, e anche tre giorni sola con lui, quindi ho il diritto di sospettare. Perciò non venire domani, perché ti faccio mandare indietro. Basta, è finita. Ti sei fatta prendere da lui». Però non risultano visite solitarie di Alice al Vate: Mussolini voleva tranquillizzare la nuova, giovane, amante, perché in realtà continuava a vedere Alice.
Sperando di avere incuriosito abbastanza il lettore su questo libro eccellente - ben scritto quanto ben documentato facciamo un passo indietro. Alice era «Bella e molto piacente, di carattere allegro e spiritosa», così la definisce un contemporaneo attento, Attilio Tamaro, «intelligente e capace di influire sullanimo delluomo amato». Era fiorentina di nascita e marchigiana dadozione. Perfettamente bilingue in virtù di una nonna inglese, faceva la spola fra lEuropa e gli Stati Uniti con il marito, divenuto impresario musicale: entrambi credevano nel fascismo e il duce usò Alice come una sorta di ambasciatrice viaggiante: da qui la definizione di «Giovanna dArco di Mussolini», coniata allepoca dalla stampa anglosassone.
Per andarla a trovare, quando era diretto a Predappio in treno, Benito faceva fermare il convoglio due chilometri prima di Fabriano. La loro passione, forse, era nata durante la Prima guerra mondiale; di certo durò con lunghi intervalli - fino allarrivo della Petacci, che sdegnò Alice. Claretta a sua volta temeva laffascinante principessa. Lo spiava e il 2 aprile 1938 scoprì la macchina del duce dentro la villa dei Pallottelli, sulla via Nomentana, a due passi da Villa Torlonia: «Mi sento impazzire, piangendo attendo che lui esca. Sta 25 minuti. Quando passa lo rincorro, lo sorpasso, rallento. Mi vede, si spaventa della mia corsa». Benito le spiega che fra loro non cè nessun rapporto, definisce Alis «una vecchia ciabatta» o «una cambiale». Ma, per giustificarsi, spiega che due figli della principessa sono suoi. È quel che sostiene anche Alice.
Eccoci dunque di fronte a altre presunte paternità di Mussolini, che lasciamo indagare ai ricercatori di gossip storici. Gianni Scipione Rossi è discreto, quanto attento, su questo tema. Ci sembra più appassionante la conclusione della vicenda, perché la famiglia seguì il duce anche dopo la caduta, nella Repubblica Sociale Italiana. Forse, in quel periodo, Benito sperava di potersi servire di Alice per mettersi in contatto con Churchill. E sembra sia stato proprio Virgilio Pallottelli, durante la fuga che porterà Mussolini a Dongo, a consigliargli di indossare quel cappotto militare tedesco che avrebbe dovuto salvargli la vita. Alice, il marito e Virgilio scrive Rossi avrebbero potuto non aderire al fascismo. Non ne avevano alcuna necessità. Dal loro essere mussoliniani, in realtà, hanno tratto più guai che benefici. Nel 1943 avrebbero potuto tranquillamente defilarsi, scomparire. (
) Per questo loro mettersi continuamente in gioco», conclude lautore, «meritano la mia simpatia». E meritano il nostro rispetto, aggiungerei, anche per la loro discrezione, fuori dallordinario.
Alice fu una donna molto superiore, intellettualmente e socialmente, alla media delle amanti di Mussolini. E capace di dare, più che di pretendere, di stare discretamente nellombra. Per tutti questi motivi la sua storia è poco nota. Almeno, lo era fino oggi.
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