Conferma della condanna d’appello a quattro anni di reclusione e rinvio dell'interdizione dai pubblici uffici alla Corte d’Appello di Milano per rideterminare la pena. Dopo dodici anni di scontri giudiziari e politici è arrivato il giorno della sentenza al processo sui diritti tv Mediaset: dopo quasi sette ore di camera di consiglio, la Corte di Cassazione ha deciso di condannare Silvio Berlusconi e, insieme lui, dieci milioni di italiani che alle ultime elezioni hanno votato il Pdl.
Oltre 10 anni di "scontri" giuridici e politici, prima del verdetto della Cassazione. Il Cavaliere ha atteso il verdetto della Suprema Corte a Palazzo Grazioli. Dopo che l’accusa ha chiesto la conferma della condanna per Berlusconi ma la riduzione da cinque a tre anni della pena accessoria dell’interdizione, ieri in Cassazione la parola era passata alle difese. "Manca nel tessuto della sentenza un elemento probatorio che Berlusconi possa aver partecipato al reato proprio", aveva detto uno dei due legali del Cavaliere, Niccolò Ghedini, aggiungendo che è stato un processo in cui "non c’è stata data possibilità di difenderci". "Nessuna prova è stata raccolta su ingerenze di Berlusconi nella gestione di Mediaset dal 1995 ad oggi" aveva spiegato anche l’avvocato Franco Coppi che ieri pomeriggio, per quasi due ore, aveva evidenziato gli interrogativi disseminati lungo i 94 motivi di ricorso alla Suprema corte. Secondo Coppi, la sentenza d’appello "muove da un pregiudizio", cioè che "ci sia un meccanismo truffaldino ideato negli anni Ottanta, che sia stato ideato da Berlusconi". "Ma il reato non c’è", avevaa detto chiedendo quindi l’annullamento della sentenza o un nuovo processo d’appello per derubricare il reato. Annullamento che non è arrivato. La Corte di Cassazione si è, infatti, limitata ad annullare la sentenza impugnata limitatamente alla condanna alla pena accessoria per l’interdizione temporanea per cinque anni dai pubblici uffici. L'articolo 12 del decreto legislativo sbalisce infatti che, in caso di condanna per frode fiscale si applica, come pena accessoria, "l’interdizione dai pubblici uffici per un periodo non inferiore a un anno e non superiore a tre anni". I giudici di Milano, censurati sul punto dalla Cassazione, avevano, invece, applicato le disposizioni generali in materia di interdizione dai pubblici uffici che, tra l’altro, stabiliscono che "la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni importa l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni", quanti ne erano stati previsti per il Cavaliere sia in primo che in secondo grado. Per quanto riguarda la pena in carcere, la Suprema ha rigettato, invece, il ricorso del Cavaliere. Insomma, ingiustizia è fatta. "Non dirò a..." si è limitato uno dei legali dello studio Coppi.
A questo punto per rideterminare gli anni di interdizione dai pubblici uffici, Berlusocni dovrà subire un nuovo processo in Corte di Appello a Milano, da parte di una sezione diversa da quella che si espressa sul merito del processo sui
diritti Mediaset. Processo che dovrebbe svolgersi in autunno. Per cui Berlusconi resterà senatore ancora per diversi mesi. Per il momento c'è solo una certezza: condannando Berlusconi, la Cassazione ha decapitato la democrazia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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