Il profeta del digiuno cura i pazienti tenendoli 10 giorni senza mangiare

«Un terzo di ciò che si mangia serve a vivere, gli altri due terzi servono a far vivere i medici». L’aforisma, a dire degli igienisti, compare sotto forma di geroglifico su un papiro rinvenuto nelle tombe dei faraoni, scritto parecchi secoli avanti Cristo. Non m’intendo di egittologia, però sono in grado di smentirlo: ho qui davanti Sebastiano Magnano, medico chirurgo sessantenne, che s’è dato la missione di togliere all’umanità, e dunque a se stesso, i tre terzi di ciò che mangia.
Psicanalista di scuola freudiana nato a Siracusa e trapiantato a Piacenza, il dottor Magnano è un digiunoterapeuta. Lo accreditano come il massimo esperto italiano, e forse europeo, di astensione volontaria dal cibo. Attraverso l’associazione Scuola della salute, da lui fondata nel 1984, insegna ai suoi pazienti l’arte più difficile che esista al mondo, se è vero che nel Guinness dei primati compaiono una caterva di record bizzarri, dal «sollevamento pesi con i capezzoli» al «periodo più lungo trascorso tra scorpioni», ma nulla di nulla alla voce «digiuno». Lacuna che il medico siculo-emiliano provvede a colmare: «I più lunghi digiuni portati a termine da obesi sono stati quelli di due donne inglesi trattate dal professor Thomas Thompson presso lo Stobhill general hospital di Glasgow. Una, di 54 anni, digiunò per 249 giorni, riducendo il suo peso da 128 a 94 chili; l’altra, di 30 anni, digiunò per 236 giorni, scendendo da 127 a 83. Non mi chieda le date, perché non me le ricordo». Lui è più indulgente, con i suoi pazienti: non più di dieci giorni a acqua senza pane, ovvio. Finora ne ha già messi profittevolmente a stecchetto più di 2.000 e 200 li ha pure «laureati» digiunoterapeuti, cioè in grado di guidare se stessi e gli altri nella vacanza dal cibo, che organizza quattro volte l’anno al Grand hotel di Riolo Terme.
«L’uomo è una bestia!», si spolmonava Giorgio Bracardi ad Alto gradimento. E il dottor Magnano, coerentemente, ha rintracciato nel mondo animale la giustificazione del digiuno terapeutico: «Cervi, camosci, stambecchi, foche digiunano nel periodo dell’estro, durante il quale i maschi sono intensamente attivi nelle lotte con i rivali per gli accoppiamenti. I salmoni non si alimentano durante lo spettacolare viaggio controcorrente, lungo centinaia di chilometri, che li porta a risalire i fiumi fino alle sorgenti, dove le femmine depongono le uova. Idem gli uccelli migratori».
Molto praticato fino al Seicento, il digiuno terapeutico fu riscoperto a cavallo fra XIX e XX secolo dagli igienisti americani, in particolare Sylvester Graham, un pastore presbiteriano del Connecticut vissuto fino al 1851, e Herbert Shelton, che prima di morire alla bella età di 90 anni (nel 1985) fece in tempo a essere candidato alla presidenza degli Stati Uniti (nel 1956) per l’American vegetarian party. Le teorie di Shelton, cui s’ispira Magnano, non sembrano aver attecchito nella patria della pizza e dei maccheroni: gli italiani adulti in sovrappeso sono 15 milioni e quelli obesi 4 milioni. Significa che il 38% della popolazione sopra i 18 anni sta sulla bilancia come i suppliziati sul letto di Procuste.
L’uomo è ciò che mangia, sosteneva il filosofo tedesco che traviò Marx. È così?
«No. Quella di Ludwig Feuerbach è una sciocchezza assoluta. L’essenza di un uomo dipende da dov’è nato, da com’è stato educato, dal modo in cui vive, dagli studi fatti, da tantissime altre cose. Su ciò che uno è psicologicamente e socialmente, l’alimentazione conta pochissimo. Però è importante per il benessere, la salute, l’equilibrio mentale, la difesa dalle patologie organiche».
Obiettivi che lei persegue col digiuno.
«Il digiuno è un metodo straordinario per la prevenzione, la guarigione, la ricerca interiore. Non a caso è presente nelle pratiche igieniche di molti popoli. Col digiuno il corpo si nutre di se stesso, delle sue riserve: grassi, piccole quantità di zuccheri, proteine presenti nei tessuti e nei muscoli».
Piuttosto abnorme, non crede?
«L’autofagia è una condizione presente in natura durante lo sviluppo dell’uovo, la metamorfosi, il letargo, il sonno. Quest’ultimo è caratterizzato dall’arresto delle attività di relazione, da un cambiamento dello stato di coscienza ma anche da un lungo intervallo tra cena e colazione: un ciclo naturale di digiuno che si associa a indispensabili processi di recupero fisici e psichici. Lo stesso letargo degli animali può essere visto come un lungo sonno rigeneratore, qualcosa che va ben oltre l’adattamento alla stagione fredda».
Quando ha cominciato a occuparsi di digiuno?
«Negli Anni 80, dopo aver lavorato alla clinica Villa Biffi di Monza e all’ospedale psichiatrico di Codogno. Tornato in Sicilia, conobbi un insegnante di storia dell’arte, Emanuele Di Mauro, che cominciò a parlarmi di Shelton, di igienismo, di cose assurde che non avevo mai udito prima d’allora. Pensai che fosse un po’ fuori di testa. Cominciai ad approfondire la materia».
A chi consiglia l’astensione dal cibo?
«A chi vuole eliminare le conseguenze di abusi alimentari e cercare un miglior rapporto col cibo. A chi intende voltar pagina, spezzare le situazioni di stallo nelle relazioni interpersonali e nel lavoro. A chi cerca di liberarsi dai condizionamenti negativi e dalle dipendenze: fumo, alcol, abitudini nocive. A chi desidera ritardare la vecchiaia. A chi pratica la ricerca spirituale. Soprattutto a chi rifiuta le terapie tradizionali perché crede nella vix sanatrix naturae, la forza risanatrice della natura».
Se lasci fare alla natura, spesso ti accoppa.
«Quasi tutti gli uomini muoiono a causa dei rimedi, non della malattia, diceva Molière. In natura il digiuno è la condizione ideale per l’autoguarigione. Una volpe, un lupo, un qualsiasi animale selvatico se si ammalano o si feriscono non possono né procurarsi il cibo né prendere le medicine. Devono per forza cercarsi un rifugio, riposare e digiunare. Persino il cane e il gatto, animali domestici, non mangiano quando sono indisposti. I bambini stessi conservano questa tendenza radicata e, al primo sintomo di malessere, rifiutano istintivamente il cibo».
E quali malattie contrasterebbe il digiuno?
«Ho visto guarire le patologie acute febbrili, tipo influenza, bronchiti e raffreddori, e le forme degenerative, soprattutto le disfunzioni epatiche. Ma vi sono alcuni casi di benefici persino nei malati di cancro, che andrebbero monitorati in centri clinici».
La digiunoterapia è consigliabile a tutti?
«No, nel modo più assoluto. Una persona sottopeso non può certo digiunare. Anche chi assume farmaci è a rischio, perché i principi attivi sono dosati per funzionare in condizioni normali. Un diabetico in cura con l’insulina finirebbe in coma ipogligemico. Un’aspirina, presa a stomaco vuoto, potrebbe provocare un’ulcera. E poi vi sono da considerare gli aspetti mentali».
Cioè?
«Chi si sottopone a digiuno non deve essere affetto da patologie psichiche. Questo perché, col venir meno dell’apporto alimentare che ha ritmato lo sviluppo dell’Io, l’Io stesso attenua la sua forza limitante e lascia affiorare i contenuti inconsci, le paure, le fobie, le ansie, le idee ossessive, le somatizzazioni, mettendo in crisi il soggetto».
È questo il motivo per cui al digiuno dei suoi pazienti partecipa anche lei, uno psicoterapeuta?
«Esatto. È dimostrato che la deprivazione sensoriale determina la disorganizzazione dell’Io. Se un individuo viene isolato in una stanza insonorizzata e buia, nell’arco di alcune ore o di pochi giorni piomba in uno stato di coscienza alterato, sognante. È il motivo per cui questa tecnica viene usata come forma di tortura nei regimi dittatoriali. Allo stesso modo la deprivazione alimentare può portare allo scoperto tratti nevrotici che nella vita ordinaria sono abitualmente compensati dall’Io».
Per quanto tempo si può digiunare?
«Il primo studio scientifico sul digiuno umano fu condotto nel 1888 dal professor Luigi Luciani, ordinario di fisiologia all’Università di Firenze. Egli osservò in modo accurato Giovanni Succi, un tipo strambo che si esibiva nelle piazze come fachiro e andò avanti a sola acqua per 30 giorni. Al dodicesimo giorno fece una cavalcata di un’ora e 40 minuti, una corsa di otto minuti con tre studenti e una gara di scherma. Al ventitreesimo giorno, sempre sotto scorta, prese parte a due assalti di sciabola».
Trenta giorni sono tanti.
«Nelle persone normali la sopravvivenza può arrivare fino a 67. Questo perché, dopo la prima settimana, cambia la biochimica del corpo. Un aspetto che, pur figurando su tutti i testi di medicina, i dietologi ignorano. Loro disapprovano il digiuno, spiegano che esso comporta la distruzione di tessuti utili e la formazione di corpi chetonici, che sono sostanze tossiche. In realtà, il corpo si adatta e comincia a consumare i tessuti in misura inversa alle proprie necessità. Cioè brucia quello che non gli serve per mantenere in vita ciò che gli serve. Che è appunto la finalità del digiuno».
Come avviene il vostro digiuno di gruppo?
«Il primo giorno verdure e frutta. Il secondo giorno centrifugati. Dal terzo giorno, e per circa una settimana, solo acqua. Poi si compie il percorso inverso: il momento più delicato, visto che l’apparato digerente è inerte e ricominciare con un’abbuffata alla don Camillo potrebbe risultare fatale».
Qual è stata l’evoluzione del digiuno nel corso della storia?
«Era già praticato nella medicina greca e in quella romana. Ne trattano sia Ippocrate sia Celso».
Ma le tesi di Sylvester Graham, pioniere del movimento igienista, non sembrano molto scientifiche: ce l’aveva col pane bianco, la carne di maiale, il tabacco, il sale, i condimenti, i letti di piume, i corsetti stretti, i vestiti pesanti e persino con le polluzioni notturne e le tortine calde di frutta secca.
«Il pane integrale fa sicuramente meglio del pane bianco. Ma bisogna tener conto che dietro queste prescrizioni c’è una filosofia esistenziale: per vivere in modo sano bisogna vivere come gli animali. Quindi non in città, non in fretta, non negli agi. Purtroppo tutte le filosofie si possono estremizzare. Non andare mai a cena con gli altri diventa un handicap sociale che rovina i benefici del digiuno. A casa io evito la carne. Ma se vado al ristorante con gli amici, il che mi capita un paio di volte al mese, non sto a rompergli le scatole con le mie convinzioni: mangio la bistecca come tutti».
Chi furono i grandi digiunatori del passato?
«Il primo che mi viene in mente è Gesù che si ritira da solo nel deserto. Il Vangelo di Matteo è una pagina di fisiologia: “E dopo aver digiunato 40 giorni e 40 notti, ebbe fame”. Questo significa che non aver fame per 39 giorni è nelle facoltà umane. Al terzo giorno di digiuno lo stimolo della fame cessa, per ritornare nel momento esatto in cui il corpo ha bruciato le riserve. Il professor Luciani lo descriveva come un impulso ben preciso: se non lo si soddisfa subito, subentra la morte entro 48-72 ore al massimo. In ogni caso, dopo aver perso il 40% del peso corporeo si è in imminente pericolo di vita. Questo significa che se l’uomo più grasso di tutti i tempi, l’americano Walter Hudson, morto nel 1991, avesse digiunato per buttar giù buona parte dei suoi 543 chili, sceso a 325 avrebbe comunque dovuto fermarsi».
Quanto arrivano a perdere i suoi pazienti?
«In una settimana 4-5 chili. Nella seconda settimana, che io non consiglio mai, ne perderebbero 2-3. Dalla terza in poi soltanto uno o due».
Che cosa succede al corpo col digiuno completo?
«Dopo 48 ore cessa del tutto l’evacuazione e subentra una forte stanchezza. Il sudore diventa acre, le urine sono molto cariche e maleodoranti, in chi ha problemi epatici gli occhi e la pelle possono assumere un colore itterico. Sono i segnali che l’organismo si sta liberando della tossiemia, cioè delle sostanze tossiche accumulate nel sangue con un’alimentazione sbagliata o con l’abuso di farmaci. A partire dal terzo giorno la pelle si distende, lo sguardo s’illumina, la mente ritrova una grande lucidità. E le energie fisiche diventano notevoli, tant’è vero che molti record sportivi sono stati battuti da atleti a digiuno».
Resta il fatto che per digiunare serve una grande forza di volontà, spesso una fede.
«Bisogna essere convinti che serva. Se penso che sia pericoloso, se ho paura, meglio rinunciare. Il digiuno non ha nulla a che vedere con la dieta, che può essere prolungata all’infinito».
Perché nelle religioni il digiuno ha un ruolo centrale?
«Come cristiano, posso rispondere rifacendomi al digiuno di Gesù nel deserto. Torniamo a quei 40 giorni, dopo i quali ebbe fame. Il diavolo tentatore allora gli si accostò e gli disse: “Se sei Figlio di Dio, di’ che questi sassi diventino pane”. Ma egli rispose: “Sta scritto: non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Il significato mi pare trasparente: non nutrendoci di ciò che produciamo con le nostre mani, siamo meno concentrati sulla nostra volontà, sul nostro fare. Non mangiando, diventiamo più disponibili a udire la voce di Dio. Francesco d’Assisi, i santi, i grandi mistici digiunavano».
Però sta anche scritto, nell’Ecclesiaste, che per l’uomo non c’è miglior cosa sotto il sole che mangiare, bere e stare allegro.
«Infatti il digiuno è reso possibile dal mangiare».
Perché nella società occidentale dilaga l’obesità?
«L’alimentazione ha un significato sociale enorme. Ci s’incontra per mangiare, nutrirsi significa stare con gli altri. C’è poi il risvolto emotivo, affettivo. Pensi a un neonato che succhia il latte al seno: il proprio corpo, il corpo della madre, l’amore e il cibo sono un tutt’uno, diventano la vita stessa. Solo crescendo l’uomo impara a distinguere. Ma in molti adulti scatta una regressione che li porta ad assegnare al cibo l’importanza che ebbe da lattanti. Non esiste nulla che sia in grado come il cibo di coprire carenze e squilibri d’ogni genere. È la droga più potente».
Con le sue teorie non teme di spingere le ragazzine verso l’anoressia?
«Per nulla. Il digiuno è una pausa dal cibo. L’anoressica invece vuol vivere senza mangiare».
Che cosa pensa di Marco Pannella e dei suoi satyagraha gandhiani, con ricorrenti scioperi della fame e della sete?
«Per fini propagandistici vanno benissimo. Pannella mette in pericolo se stesso per richiamare l’attenzione, come il suicida che sale sul cornicione e minaccia di buttarsi di sotto. Ma è l’esatto contrario del digiuno che propongo io».
Lei quanti digiuni ha praticato finora?
«Una decina».
E quanto pesa?
«Sui 70 chili».
Ma come, non controlla la bilancia?
«Più o meno...».
Da 1 a 10, che importanza ha la buona tavola nella sua vita?
«Otto».
Se il digiuno fa così bene, perché non c’è un reparto ospedaliero, con lei primario, dove si pratichi solo quello?
«E perché non c’è un reparto ospedaliero dove si sperimentino la fitoterapia, l’omeopatia, l’agopuntura, la naturopatia, l’iridologia? La medicina convenzionale rifiuta le terapie alternative. L’unico esperimento fu condotto negli Anni 40 presso la clinica medica dell’Università di Modena diretta dal professor Alessandro Dalla Volta. Furono curati con periodi di digiuno assoluto alcuni gruppi di cardiopatici scompensati. I risultati favorevoli sono esposti in uno studio del dottor Giorgio Dagnini, che interpellai personalmente una decina d’anni fa».
Un’esperienza che si potrebbe ripetere.
«Scherza? Ci sono in ballo interessi economici e responsabilità enormi.

Se come medico prescrivo i dosaggi giusti dei farmaci, sono a posto, posso spedire al Creatore chiunque e non avrò conseguenze. Ma se faccio digiunare un malato, mi sbattono in galera».
(344. Continua)
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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