Milano - La «nuova» Alitalia comincia a delinearsi. Intesa Sanpaolo, chiamata dal governo a dare le idee, le ha date. Adesso le scelte sono politiche, e impegneranno alcune settimane, permettendo agli italiani di superare agosto senza blocchi o barriere (poi, si vedrà). Scelte non facili: il Tesoro (alias, il ministro Tremonti), azionista di Alitalia, dovrà decidere se e come accollarsi debiti e personale che la «nuova» Alitalia non potrà permettersi. Dovrà trovare uno strumento adatto a «ritagliare» un pezzo della compagnia attuale, quello buono, per separarlo dai rottami e conferirlo a chi se ne farà carico. E chi se ne farà carico? Un gruppo di privati italiani, di imprenditori che mai e poi mai metterebbero nemmeno un chip in «questa» compagnia, ma che a una società «pulita», carica solo di un ragionevole rischio industriale, parteciperanno con 50-100 milioni a testa.
È proprio questa «newco» la chiave del piano industriale proposto da Intesa per consentire all’Italia di mantenere un servizio di trasporto aereo nazionale, che svolga quella funzione pubblica che non è solo turistica o di business, ma proprio di collegamento tra le varie città di un Paese lungo e stretto. La Svizzera o il Belgio si possono girare in bicicletta; l’Italia no. Benetton, innanzitutto; poi Ligresti, Aponte, Marcegaglia, Riva, Colaninno, sono già pronti. Potranno entrare nel capitale anche Intesa Sanpaolo, e altre banche e istituzioni finanziarie internazionali (Nomura, Morgan Stanley).
A Colaninno verrà ritagliato un ruolo di primo piano, con responsabilità ancora da definire: un uomo a lui vicino, Rocco Sabelli, sarà l’amministratore delegato e sta già studiando il piano industriale della nuova Alitalia. I capitali freschi necessari sono quantificati in un miliardo di euro: ma non bastano i soldi per rilanciare Alitalia, occorre quello che si chiama «massa critica». Oggi la compagnia pubblica ha all’incirca il 40% del mercato domestico, dopo aver subito una costante erosione negli anni, anche per le barriere create dall’Antitrust alle alleanze nazionali che via via si sono profilate: il 40% è troppo poco, specie a confronto con Air France, Lufthansa, British Airways, che nei rispettivi Paesi hanno quote tra il 70 e il 90%.
Così, assieme al capitale, l’altro cardine del progetto di Intesa è l’accorpamento di Air One, seconda compagnia italiana, con una quota di mercato intorno al 22%. Proprio in questi giorni si sta discutendo il «come». Carlo Toto potrebbe conferire la sua compagnia, in particolare la flotta, gli ordini per i nuovi aerei e i debiti relativi (un aereo è come una casa comprata col mutuo); gli aerei di Air One sono essenziali per svecchiare e razionalizzare la flotta di Alitalia. Se Toto conferirà la sua compagnia, otterrà in cambio azioni, pari all’incirca al 30% del capitale. In questo caso diventerebbe il primo azionista singolo e potrebbe essere nominato presidente o vicepresidente. Ma può anche essere che Toto decida, semplicemente, di vendere alla newco, di incassare una cifra tra i 250 e i 400 milioni, e di reinvestirne una tranche nella nuova Alitalia.
Le dimensioni di quest’ultima non sono ben definite, ma il piano prevede che fin dal primo esercizio il fatturato sarà superiore a quello attuale di Alitalia. In altre parole, o saliranno sensibilmente i prezzi, o l’attività non sarà ridimensionata; c’è da augurarsi, ovviamente, che prevalga il secondo aspetto. La compagnia sarà fortemente radicata sul mercato domestico, dove avrà una leadership forte; questa volta la bacchetta dell’Antitrust dovrebbe fermarsi a mezz’aria perché nel giudizio sulla tratta Milano-Roma (una delle più trafficate e più profittevoli del mondo) entrerà in gioco anche la concorrenza dei treni ad alta velocità. I collegamenti internazionali saranno confermati e poi sviluppati. Quelli intercontinentali, la cui espansione negli anni passati si è intrecciata con la scelta (mai completamente realizzata) dell’hub a Malpensa, seguiranno invece un altro modello: quello di una forte alleanza, in tempi stretti, con un grande vettore europeo (in pratica, Air France o Lufthansa), che non sia un semplice «code sharing», ma un vero «profit sharing»; significa dividere gli utili, come in una società comune, e non solo dare continuità di servizio. Questo non significa che il piano preveda la cessione della «nuova Alitalia», che, al contrario, conta sulla propria autonomia.
Una volta avviata, la compagnia, completamente privata, sarà quotata in Borsa. Il Tesoro perderà tutto, capitale e obbligazioni: del resto, già da anni Alitalia è tecnicamente fallita e viene tenuta in vita con l’ossigeno (l’ultima boccata è stato il prestito-ponte di 300 milioni che, va osservato, non entrerà nella newco e quindi resterà a carico della «vecchia» società). Le obbligazioni (il famoso Mengozzi bond) hanno un valore nominale di 700 milioni, di cui circa 500 nel portafoglio del Tesoro e 200 in quello di investitori privati. L’obiettivo è di coinvolgere questi ultimi nella nuova società, per evitare che i loro bond diventino carta straccia; l’ipotesi è quelli di trasformarli in warrant.
I tempi sono stretti e le scelte devono essere fatte rapidamente.
Tremonti dovrà farsi carico dei debiti di Alitalia (1,1 miliardi), del personale in esubero (5-6mila dipendenti), delle aree di business non funzionali alla nuova società. Non c’è alternativa. Ma sull’altro piatto della bilancia ci sarà un vettore italiano autonomo, che potrà scongiurare i traumi di un fallimento, fatto di aerei a terra e di aeroporti nel caos.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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