Un programma italo-egiziano per gli ex alunni di via Quaranta

Proseguono le polemiche. La Maiolo: «Non si tratta con chi è stato illegale per anni». Boni: «Tornino a casa»

Augusto Pozzoli

Per i bambini egiziani che fino allo scorso giugno hanno frequentato la scuola di via Quaranta si studia una soluzione «tecnica» da sottoporre ai genitori che domenica alle 10 si riuniranno in assemblea nell’aula magna del liceo scientifico Einstein, nell’omonima via, per decidere se accettare o no che i propri figli vadano alla statale, sia pur con alcuni aggiustamenti dei programmi. Un gruppo di esperti ha iniziato a lavorare in questa direzione sotto la supervisione del responsabile del Csa (l’ex provveditorato agli studi) Antonio Zenga. Il sistema scolastico nazionale già concede agli istituti di usufruire di una parte dell’orario settimanale (fino al 15%) per attuare programmi autonomi. È possibile che in questo spazio si riesca a ritagliare un monte-ore in cui gli islamici possano studiare l’arabo e il Corano? E poi: basterebbe a convincere le famiglie a rinunciare alla scuola da loro auspicata? La risposta non è facile. Pietro Farneti, presidente dell’associazione Risvegli che da anni collabora con il centro di via Quaranta, non nasconde che il problema è complesso: «L’insegnamento dell’arabo e della religione islamica - dice - non basta. Il problema è costruire un sistema di istruzione che prepari gli alunni all’esame di idoneità presso il consolato egiziano, e che consenta quindi alle famiglie di garantire ai figli non solo il titolo di studio italiano, ma anche quello del loro paese d’origine». Obiettivo difficile da raggiungere, e gli insegnanti italiani in questa prospettiva non bastano.
«Ci sono materie come la matematica - aggiunge Farneti - che non presentano problemi, ma per altre occorrono insegnanti preparati: per insegnare storia o geografia, ad esempio, perché il programma egiziano da noi non è nemmeno conosciuto». Se si arriverà a un’intesa per inserire gli alunni nelle nostre scuole, sarà necessaria un’attività di «accompagnamento» con lezioni svolte da personale preparato che integrino quanto manca (almeno dal punto di vista egiziano) nei programmi italiani. L’alternativa a via Quaranta, insomma, non è facile da costruire. La sfida di chi siede da ieri al «tavolo tecnico» del Csa ha il vantaggio di essere giocata oltre che da esperti multiculturali dell’amministrazione scolastica, anche da un gruppo di persone che già negli ultimi anni aveva elaborato iniziative per mettere gradualmente in contatto i figli delle famiglie egiziane con la scuola statale. Un progetto che già l’anno scorso stava per essere varato all’Istituto comprensivo di via Heine, dove erano già previsti laboratori di lingua italiana in previsione degli esami di idoneità che i piccoli immigrati ogni anno sostenevano nella stessa scuola. Mentre è in atto questo sforzo per arrivare a una soluzione, non si placano le polemiche politiche. L’assessore comunale ai servizi sociali Tiziana Maiolo ribadisce: «Nessuna trattativa può essere condotta con chi ha mantenuto questa situazione illegale in piedi per anni. Come ha detto giustamente il ministro degli Interni Pisanu (e con lui il suo riferimento milanese, il prefetto Ferrante) oggi l'unica soluzione è che i bambini di via Quaranta frequentino la scuola pubblica. Punto e basta». E l’assessore risponde alle critiche dell’imam Abu Imad: «Nessuno vuol trasformare i vostri bambini in "copie sbiadite degli italiani". Ma non vogliamo neanche riempire Milano di disadattati». Aggiunge Roberto Alboni, capogruppo di An in Regione: «Le famiglie di lingua araba devono rendersi conto che vivono in un paese straniero.

Se vogliono che le future generazioni si integrino pienamente nella società italiana devono mandare i figli alla scuola pubblica. È il primo fondamentale passo per la convivenza». A chi non interessa la nostra cultura, non usa mezzi termini l’assessore lombardo della Lega Davide Boni, «torni al paese di origine».

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