Vengano resi onori e lodi ai partigiani della Calabria. Non soltanto per le loro imprese belliche e resistenziali, bensì soprattutto per la loro ultradecennale modestia. Con ammirabile discrezione, riserbo e umiltà, hanno aspettato sessantacinque (dico 65) anni prima di rivelarsi al mondo: soltanto venerdì scorso è stata costituita l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia della Calabria, nel salone della Camera del Lavoro di Cosenza, in piazza della Vittoria.
Sia chiaro che l’ironia non è rivolta ai - pochi - partigiani calabresi, quelli che combatterono davvero. Ce l’ho con chi arriva dopo, per cercare di sfruttare la loro gloria. Del resto, è un vizio antico. Infatti sappiamo che, alla fine del 1943, i partigiani erano poche migliaia, tutti nell’Italia centrosettentrionale. E che diventarono decine di migliaia a mano a mano che gli angloamericani avanzavano su per la penisola. A guerra finita, il loro numero aumentò a dismisura: perché faceva comodo dichiarare di avere combattuto contro i nazifascisti. Proprio come, dopo il 1922, furono legioni gli italiani che chiesero e ottennero dal regime fascista il brevetto di marciatori su Roma, facendo aumentare a dismisura il numero di quei quattro gatti che avevano partecipato alla finta conquista armata dello Stato, conclusa da Mussolini con un viaggio in vagone letto.
Considerazioni simili dettero agio a Leo Longanesi di creare la celebre battuta - ahi, quanto realistica - «Gli italiani si dividono in 45 milioni di fascisti e in 45 milioni di antifascisti». Stare dalla parte di chi vince, in tempi di lotta, è più agevole e crea meno preoccupazioni.
Vale anche per la Calabria, dove la guerra civile di Liberazione non ci fu: gli alleati avanzavano, i nazisti arretravano. Punto. Se provate a fare una ricerca con Google, vedrete che alla voce «partigiani di Calabria» vi darà quasi soltanto una sfilata di briganti, quelli che in ogni epoca si sono opposti al potere costituito oppure a un cambiamento di potere: specialmente a quello savoiardo, dopo il 1861.
Sì, qualche centinaio di calabresi prese parte alla Resistenza settentrionale: soldati sbandati dopo l’8 settembre o emigrati che si trovavano da tempo al nord. Ma che si possa parlare di un movimento di liberazione calabrese, proprio no. Tanto che la «fabbrica della Resistenza», finora, era riuscita a produrre soltanto un libro stenterello: Enzo Misefari, Partigiani di Calabria (Istituto Calabrese per la Storia dell’Antifascismo, 1988).
E allora? Come mai l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia ha sentito l’ossimorica urgenza tardiva di costituire una sezione regionale? L’ha spiegato bene Giovanni Donato, segretario generale della Cgil di Cosenza, annunciando l’iniziativa: «In un clima di attacco alla Costituzione, riteniamo fondamentale diffondere anche tra i giovani i valori della nostra Carta che sono nati dalla Resistenza». Ah, ecco. I giovani calabresi - specialmente quelli in attesa di un lavoro e insidiati dalla ’ndrangheta - non aspettavano altro che apprendere i valori della Costituzione attraverso l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia della Calabria.
Ovviamente «l’incontro servirà a preparare una grande manifestazione regionale che si terrà sempre a Cosenza il 25 aprile in occasione della Festa della Liberazione». Accetto scommesse: secondo me, la neonata associazione farà il suo esordio festoso per la Liberazione da Berlusconi.
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