Un lungo viaggio attraverso le meraviglie del mondo dell'arte. Ogni settimana in questa pagina il critico Vittorio Sgarbi racconterà l'opera di un grande maestro del passato o del presente - una tela, un affresco, una scultura, un'installazione... - leggendola con un occhio particolare. Non soltanto facendoci (ri)scoprire un gioiello dimenticato o lontano dai grandi itinerari del turismo culturale, ma anche facendone emergere i legami artistici e sociali con l'attualità. Una lezione di un intellettuale sempre fuori dal coro che ha molto da insegnarci.
di«Il pittore non deve soltanto dipingere ciò che vede davanti a sé ma anche ciò che vede in sé. Se però in sé non vede nulla, tralasci pure di dipingere ciò che vede davanti a sé». Così il grande artista tedesco Caspar David Friedrich sigillava la sua concezione dell'arte. Erano gli anni in cui i visitatori e gli amici trovavano quell'uomo fuori del comune, con la barba da cosacco e gli occhi severi, introverso e amante della solitudine, malato e infinitamente malinconico. Il poeta russo Vassili Andreievic Zukovski, che lo aveva conosciuto vent'anni prima, nel 1840 scrive: «Da Friedrich. Triste rovina. Piangeva come un bambino». Poco dopo Friedrich sarebbe morto. Queste immagini si accordano con le testimonianze sui metodi d'invenzione di questo rigoroso pittore della natura che si concentrava nell'isolamento di una stanza in penombra. Ecco lo studio, come un ambiente di clausura, nella descrizione di Wilhelm von Kügelgen: «Lo studio di Friedrich era completamente spoglio... Null'altro che il cavalletto, una sedia e un tavolo, sul quale era appesa, per tutta decorazione, una riga a T, che nessuno capiva a che dovesse tanto onore. Persino la cassetta dei colori, la cui presenza sarebbe stata più che comprensibile, e le bottiglie dell'olio e gli stracci erano relegati nella stanza accanto, perché Friedrich riteneva che tutti gli oggetti esteriori disturbassero il mondo delle immagini interiori».
Così sconvolgente e moderna è questa concezione dell'arte che dopo l'interesse dei contemporanei colti dovette passare più di un secolo perché se ne intendessero il vero significato e la straordinaria penetrazione nell'essenza stessa della realtà. Nei paesaggi di Friedrich si sente la stessa ambivalente emozione dei poeti romantici di fronte alla natura (si pensi a Leopardi), un misto di esaltazione e di sgomento, di felicità e di terrore, di liberazione e di inadeguatezza. L'uomo è spesso assente o, se è presente, lo è in una condizione assai singolare: o infinitamente minuscolo in un vastissimo spazio, come in quella Campagna al mattino dove il pastore con il suo gregge sta al centro di un coro di cieli, montagne, acque e sconfinate campagne, partecipando di questa immersione come un privilegio solitario e incomunicabile, dal quale è esclusa la città, di cui vediamo il profilo all'orizzonte; o in contemplazione, come dal di fuori, dello spettacolo naturale, che spesso corrisponde a uno stato d'animo interiore; o in azione, in forza del privilegio dell'arte di realizzare i sogni e le aspirazioni più alte come in quell'eccezionale Mattino sul Riesengebirge , dove, contro uno sfondo di montagne e nuvole, giunti ormai quasi in cielo, vediamo una coppia, uomo e donna, che raggiunge e si stringe al crocefisso sul monte. Calvario? O Paradiso raggiunto? O, insieme, felicità conosciuta attraverso il sacrificio?
L'anima di Friedrich è profondamente cristiana e la sua concezione della natura, con il suo grandioso respiro, corrisponde perfettamente al limite dell'uomo di fronte all'immensità del divino. Ma senza rinunciare a farne parte. In uno dei suoi quadri più famosi, Monaco sulla spiaggia , vediamo un altissimo cielo che occupa otto decimi della tela, una fascia bassa di mare e una di terra. Schiacciato al limite delle due zone inferiori sta il monaco, con le spalle volte a noi e rivolto all'orizzonte. La lunga linea che delimita il mare sembra schiacciarlo sulla terra, impedirgli di innalzarsi, mentre l'andamento irregolare della costa che digrada verso i due lati della tela corrisponde all'idea di una continuazione, di una moltiplicazione dell'infinito, di cui quanto vediamo è soltanto un ritaglio. Tuttavia la presenza dell'uomo è indispensabile non solo a comunicarcene l'inadeguatezza, ma anche a consentirci di non perdere le reali proporzioni del rapporto fra l'uomo e la natura.
Da quando queste e altre straordinarie emozioni della pittura di Friedrich sono state intese è iniziata una inarrestabile rivalutazione della sua opera, con mostre, monografie e ricerche di opere per i grandi musei. La sua fama, uscita dalla Germania, ha destato ovunque interesse: la National Gallery di Washington ha acquistato un dipinto per una cifra così alta che si è ritenuto più opportuno non renderla nota; la Tate Gallery gli ha dedicato una mostra monografica nel 1972. I musei di Mosca e Leningrado hanno esposto nel 1974, per il secondo centenario della nascita di Friedrich, le loro raccolte di disegni e di tele. Nello stesso anno i musei di Amburgo e Dresda hanno ospitato una straordinaria mostra commemorativa.
Infine la Francia, Parigi, con una proposta stimolante del Centre du Marais, ha chiesto in prestito e ottenuti i disegni del Museo Puškin di Mosca, disegni sottili, penetranti, prova di un rapporto vero e diretto del pittore con la natura, prima della riflessione tutta interiore nel buio dello studio per attribuire una verità più profonda alle apparenze, perché «l'unica vera sorgente dell'arte è il nostro cuore». A questi originali si sono affiancati una serie doviziosissima di trasparenti a colori delle opere più celebri di Friedrich e soprattutto alcuni particolari, ingranditi e resi autonomi quasi per diventare nuovi quadri. Ecco un altro modo di scoprire Friedrich, attraverso una lettura di matrice strutturalista che mette in evidenza i principi compositivi del pittore e il suo modo particolarissimo di intendere la luce. Attraverso alcuni grafici si è infatti identificato il procedimento di scomposizione geometrica degli elementi costitutivi del quadro, secondo uno schema perfettamente dissimulato nell'opera compiuta. Tale scomposizione vale anche per la dosatura della luce, che non cade sui dipinti in modo naturale, come se appartenesse a spazi e realtà fisiche diverse. Questo metodo nasconde un proposito simbolico di elevazione, dal buio della terra alla luce diffusa e abbagliante del cielo. O il contrario: dalle nebbie dell'orizzonte, fra le quali si intravedono sagome di chiese o croci, quasi da raggiungere attraverso difficili prove, al lucore della neve in primo piano, o di uno specchio d'acqua.
Lo schema a fasce l'avevamo già osservato nel Monaco sulla spiaggia , ma tanto più evidente è in dipinti dove prende forma soltanto per forza della luce, come in Abbazia nel querceto , nel quale i rami spogli e secchi degli alberi passano dall'oscurità all'animato tremare contro il cielo bianco, o come nella Collina e campo arato presso Dresda , quasi un quadro araldico con la danza degli alberi oltre e sopra la sagoma appena intravista della città, nella controluce di un tramonto giallo che si oppone alla cupa oscurità della terra su cui incombono i corvi. Simbologie estreme, di morte e di vita, di speranza e resurrezione, che talvolta sono rese esplicite con riferimenti diretti al cristianesimo, mentre più spesso vanno oltre quest'occasione per diventare meditazioni sul mistero dell'uomo, sul suo destino, sulla contraddizione che lo rende uguale e insieme diverso dalla natura, in una situazione di coinvolgimento e di distacco. Niente restituisce la sostanza spirituale della pittura di Friedrich come l'idea del passare all'altra parte, del varcare una soglia, che non è solo una simbologia cristiana, ma una più assoluta aspirazione umana alla totalità, alla identificazione con la natura, all'annegamento e insieme alla massima esaltazione della coscienza. Una condizione neppure sospettata dai grandi colleghi di Friedricb, come Turner. Ma per Turner la natura è sublime, è grandiosa, è tutto, e il problema dell'uomo passa in secondo piano; per Friedrich la grandezza e l'infinità della natura accentuano il problema dell'uomo, lo rendono più angoscioso.
Per intendere quell'infinito, l'anima dell'uomo deve farsi più grande, essere pronta a superarsi, ad affrontare le prove estreme, come nel Mattino sul Riesengebirge . Niente avviene, come in Turner, nonostante l'uomo, anche quando l'uomo non c'è, perché sempre è presente il suo sguardo e la sua coscienza, come nel celebre, travolgente, catastrofico Mare di ghiaccio , simbolo dell'anima tedesca (pensate a Beethoven), dove le lastre taglienti prodotte dal naufragio sono umane come gli eroi della Zattera della Medusa di Géricault, per una sorta di umanesimo negativo, ma altrettanto intenso. È lo stesso umanesimo negativo che aveva portato Friedrich a ribaltare gli ordini dei valori della tradizione neoclassica nella rappresentazione tutta in nero, come un negativo fotografico, del Tempio di Giunone ad Agrigento . Era questo il mondo greco? Ma torniamo sul ghiaccio.
Quando Friedrich aveva 13 anni, mentre pattinava il ghiaccio gli si infranse sotto i piedi; precipitò. Fu salvato dal fratello Johann Christoffer, che perse la vita. Anche questo, irrimediabile, c'è sotto Il mare di ghiaccio .- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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