A QUALCUNO PIACE SCRITTA

Che tipo di scrittore è Allan Folsom? Lo incontro a Roma in occasione dell’ uscita del suo quinto romanzo, Il dossier Hadrian (Longanesi, pagg. 452,euro 19,60), un libro avvincente che consiglio a tutti i lettori che amano essere presi in un vortice di avventure, ed essere coinvolti da spettatori in intrighi internazionali, violenze politiche e private, passioni senza freno, amori senza speranza, desideri di riscatto. Non ci vedevamo da tempo, io sono acciaccato, lui ha i capelli biondi che tendono impercettibilmente al bianco, ma subito la conversazione prende corpo , e si ride, si resterebbe a chiacchierare davanti al banco del bar ancora per ore.
Allan si presenta come un artigiano del romanzo. Uno cui interessa innanzi tutto avere storie da raccontare. Le sue radici, mi dice, affondano più che nella letteratura nel ricordo di quando la nonna, prima ancora di fargli scoprire i telefilm d’avventura, lo iniziava all’ascolto dei radiodrammi. Udire soltanto voci lasciava libera la fantasia del bambino di immaginare a suo piacimento i volti, i luoghi, le vicende. È lì l’origine dello story teller che è diventato da adulto Allan Folsom. Ma, da story teller, non può evitare di dirmi, timidamente, che gli scrittori “letterari” non hanno «quasi mai temi interessanti di cui parlare». Sapesse come sono d’ accordo. Il discorso, tra due appassionati di mare che vivono sul mare (lui a Santa Barbara, in California) cade sul nuoto. Quando gli chiedo se nuota prima o dopo scrivere, mi risponde salomonicamente che lo fa «in mezzo», tra un momento di scrittura e un altro.
Il dossier Hadrian si apre nella Guinea Equatoriale squassata da povertà, ribellioni e stragi, e poi sposta i suoi orizzonti a Parigi, Berlino, Lisbona, con un occhio attento alla Russia dei nuovi oligarchi e l’altro sempre fisso alle vicende degli Stati Uniti, della Cia, del suo Presidente. La posta in gioco è il petrolio di un immenso giacimento scoperto sui fondali vicino all’isola di Bioko. Un giacimento che, in mano agli americani, potrebbe diventare strategico per l’indipendenza energetica della superpotenza. Intorno al petrolio ruotano interessi colossali per cui si combatte senza esclusione di colpi. L’azione è scandita da una cronologia puntualissima, quasi minuto per minuto, tra fughe e continui capovolgimenti di fronte. Ma, romanzo dopo romanzo, Folsom tratteggia con sempre miglior mano i suoi personaggi. Su tutti Nicholas Marten, che con il nome di John Barron, agente del Dipartimento di Polizia di Los Angeles, avevamo già incontrato nei due precedenti libri, L’esule e La Regola di Machiavelli. Diventato architetto di paesaggi nella campagna inglese, viene richiamato dal Presidente Usa che vuol vederci chiaro in quello che sta accadendo in Guinea Equatoriale. E così si ritrova a vivere avventure rocambolesche e a rimettere in funzione quella «lucidità letale» che gli ha sempre permesso di sopravvivere.
Vicino a lui, una figura femminile ambigua e tormentata, Anne Tidrow. E contro di lui, Conor White, fondatore di una agenzia di sicurezza, un uomo che da eroe di guerra, insignito della Victoria Cross, si è fatto mercenario al servizio del petroliere Sy Wirth e deve dare la caccia a Marten per distruggere foto e testimonianze della sua azione per la destabilizzazione violenta del piccolo stato africano. Leggendo Il Dossier Hadrian siamo portati a riflettere sulle emergenze energetiche dell’Occidente, sulla depredazione dell’Africa, sulla collusione tra economia e violenza militare, sulle deviazioni congenite nei servizi segreti di tanti paesi , su quanto sangue si versa per il petrolio: non male, per un libro che si presenta come un libro di evasione. E viviamo con i personaggi nei luoghi dettagliati in cui passano, negli aerei su cui volano, nelle stanze d’albergo che occupano, nelle corse tra i labirinti di strade in cui si inseguono, nelle sensazioni strazianti che provano, come quando Marten, dopo aver ucciso due nemici, sente un vecchio suonare alla fisarmonica una canzone triste nella notte piovosa e deserta di Lisbona.
Ma soprattutto siamo costretti a prendere partito: anche quando sono difficili da separare e distinguere, il bene e il male in queste pagine d’avventura esistono ancora. Alla mia domanda, Allan me lo conferma. Dobbiamo scegliere. Marten lo sa che il suo destino è difendere il bene.

Se non ci fosse il destino, lui se ne starebbe a coltivare fiori. Ma, se non ci fosse il destino, non ci sarebbero neppure romanzi. Neppure questo, e sarebbe un vero peccato. Ciao Allan, appuntamento a Nizza. L’avventura (della vita) continua.

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