Quando per combattere la mafia si mobilitarono i Vespri siciliani

I soldati restarono in Sicilia sei anni. Furono usati anche contro i sequestri

da Palermo

Arrivarono a migliaia, nella tragica estate del 1992, all'indomani dell'eccidio del 19 luglio, che costò la vita al giudice Paolo Borsellino e a cinque agenti della sua scorta. E la loro azione, sia sotto il profilo dell'efficacia dei poteri straordinari che avevano come agenti di polizia giudiziaria, sia semplicemente come deterrente per contrastare la microcriminalità, è ricordata da tanti siciliani con un po' di nostalgia. È proprio l'operazione Vespri siciliani, l'invio cioè in Sicilia dei soldati - l'intervento più imponente delle Forze armate dal dopoguerra - in un momento di straordinaria emergenza nella guerra contro Cosa nostra, il precedente cui si rifà la norma introdotta dal Senato al decreto sulla Pubblica amministrazione in esame alla Camera. Ai soldati, allora come adesso secondo il testo in discussione a Montecitorio, vengono attribuiti poteri propri degli agenti di polizia giudiziaria: possibilità dunque di identificare persone, di perquisire veicoli, di farsi consegnare eventuale materiale - esplosivo, stupefacenti - di provenienza illecita rinvenuto durante queste operazioni, salvo poi l'obbligo di dare notizia alla magistratura e alle forze dell'ordine. I militari, in Sicilia, arrivarono per l'emergenza legata alla guerra di Cosa nostra contro lo Stato e alle due stragi consecutive - quella di Capaci del 23 maggio del '92 e quella di via D'Amelio, il 19 luglio dello stesso anno, a soli 57 giorni di distanza - ma rimasero a lungo. L'operazione Vespri siciliani, infatti, si prolungò dal 24 luglio del 1992 all'8 luglio del 1998. Il pericolo «militarizzazione» venne risolto conferendo maggiori poteri ai prefetti, attraverso i Comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica cui partecipava anche un ufficiale dell'Esercito.
Unici precedenti prima del 24 luglio del '92 erano stati l'utilizzo dei militari in chiave di vigilanza antiterroristica durante la Guerra del Golfo - ma in maniera «dimezzata» perché i soldati venivano sempre affiancati da un agente di Pg e non avevano poteri diretti; e l'operazione Forza Paris, l'invio in Sardegna di 4000 soldati nelle fasi conclusive del sequestro del piccolo Faoruk Kassam, utilizzato però solo per rastrellamenti a tappeto. Il modello più snello ed efficace affinato con i «Vespri siciliani» venne poi applicato in altre realtà, contemporaneamente all'esperienza siciliana. Al confine italo-sloveno, con l'operazione Testuggine (16 agosto 1993-28 febbraio 1995), che vide l'impiego di soldati - con poteri di Pg a partire dal 1994 - per la sorveglianza della frontiera contro ingressi irregolari di persone e di materiali. Ed ancora, in Calabria e in Puglia, nel '94, con le operazioni «Riace», «Partenope» e nel '95 con l'operazione «Salento».

In tutti e tre questi casi sono stati conferiti ai soldati poteri identici a quelli dell'operazione «Vespri siciliani». Ovunque, nel Mezzogiorno, l'utilizzo dell'esercito con queste modalità straordinarie ha sortito effetti più che positivi, specie in termini di sicurezza dei cittadini.

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