Quando i morti uccidono i vivi. "L'Oreste", viaggio nella follia

Una pièce con rimandi al mito, Casadio protagonista. Dialogo tra scene e Graphic Novel. Regia di Marini

Quando i morti uccidono i vivi. "L'Oreste", viaggio nella follia
00:00 00:00

«L'Oreste-Quando i morti uccidono i vivi», di Francesco Niccolini, è un titolo alla Testori, come «L'Edipus», la «Gilda», la «Maria Brasca», testi nei quali, la lingua si tinge di dialettalità, quella milanese per Testori, quella romagnola per «L'Oreste», come dire che, l'operazione linguistica diventa determinante per dare al testo, una sua originalità, specie quando utilizza forme archetipali che hanno a che fare col mito.

«L'Oreste», prodotto da Accademia Perduta/Romagna Teatri, che arriva a Milano, ai Filodrammatici, da oggi a domenica, dopo oltre 150 repliche, (un record per una novità italiana), è un dramma sulla follia, avendo, il suo protagonista, sperimentato forme molteplici di dolore, tali da generare quei disturbi mentali che lo hanno portato a uccidere la madre, causando il ricovero nel manicomio di Imola, dove è rimasto rinchiuso per trent'anni. L'omicidio, conseguenza del tradimento della madre (novella Clitemnestra), con Libero (novello Egisto), dopo che il padre (novello Agamennone) era partito per la seconda guerra mondiale, era avvenuto nel caseificio di famiglia che, la bellissima Alba, diventata proprietaria, gestiva insieme all'amante. I rimandi al mito sono evidenti, ma non c'è nessuna parola tratta dall'«Orestea». Questa materia è stata messa nelle mani del regista Giuseppe Marini, il quale sembra abbia voluto dirci che non sono soltanto i gesti che si compiono ma anche il dolore che ne consegue, a gettare l'uomo nella pazzia, indicando a Claudio Casadio, per la sua interpretazione, l'uso del candore e, a volte, della dolcezza, per stemperare le vicende cruente, fatte di violenza e di figli che uccidono i genitori. Claudio Casadio li interpreta con pacata rassegnazione, con una lucida follia, con quel tanto di sogni che assecondano la dimensione onirico-favolistica, voluta dal regista, che ha, a sua volta, trasformato una storia di dolore, in una tragedia della mente. Egli ha disegnato uno spazio scenico, con letto, armadietto e comodino d'ospedale con, di fronte, un tavolino, dove Oreste scriveva delle lettere a una immaginaria fidanzata che ha conosciuto a Lucca durante un festival della canzone per matti; interagendo con le illustrazioni di Andrea Bruno che ha dato vita ai personaggi del dottore, dell'infermiere, di Ermes e di Marilena, in forma di fumetto, costruendo una drammaturgia basata su universi visivi e narrativi che permettono un calibrato e ben coordinato incontro tra teatro e fumetto che, grazie al Graphic Novel Theater, rende viva e appassionante l'azione scenica, la cui trama ha inizio nel febbraio del 1980 attraverso un tracciato a cui si arriva dalla fine della guerra e attraverso una serie di disgrazie che hanno generato l'ecatombe di una intera famiglia, di cui è rimasto in vita soltanto Oreste, quella vita che veniamo a conoscere attraverso l'analisi clinica che il dottore ha condotto, intervenendo nel cervello di Oreste che egli, ormai, ritiene libero di abbandonare il manicomio perché non ritenuto più pazzo, ma disturbato.

C'è da dire che sono appena passati dodici anni dalla Legge Basaglia e dalla volontà di chiudere i manicomi. Giuseppe Marini, ben consapevole che si possano curare i disturbi della mente, ma non certo le ombre dell'anima, che sono i veri malesseri, ha lavorato per sottrazione, per raggiungere tale «assenza» che, a sua volta, si è trasformata in un metodo per arrivare alla cura.

Questo permettendo a Claudio Casadio di perseguire una delle interpretazioni più difficili della sua carriera, per la quale, gli è stato assegnato il prestigioso «Premio Enriquez». Al successo dello spettacolo hanno contribuito le musiche di Paolo Coletta e le luci del light design Michele Lavagna, i costumi di Helga Williams.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica