Quattro cadaveri per la stufetta difettosa

Pianti disperati di donne rom lacerano il brusio della folla di fotografi, cameraman, curiosi e vigili urbani radunatisi al crepuscolo davanti alla palazzina gialla di quattro piani Di via Dante Alighieri 62, a Magenta. Sono grida accorate che strappano l’anima e annullano qualsiasi altra forma di sofferenza, di pietà, di sbigottimento riducendolo a un brandello di sentimento davanti all’immane, imperscrutabile mistero di una morte troppo frettolosa e troppo ingiusta. Succede così quando sono i giovani ad andarsene per una banalità che stavolta, ancora, ha le dimensioni e la forma di una caldaia per scaldabagno malfunzionante. E il flato invisibile e mortale del monossido di carbonio.
Stavolta a morire avvelenati nel sonno sono stati due cognati di origine romena, Elvis Serban e Catalin Nadaloji, rispettivamente 26 e 25 anni, insieme alle loro giovanissime compagne di 21 e 24 anni, di cui ancora non si conoscono i nomi. A scoprire i loro cadaveri, ieri pomeriggio poco dopo le 15, è stato Prinz, il cugino di Elvis. Che ieri alle 9 - dopo aver passato la serata di mercoledì tentando di rintracciarlo al telefono - non l’ha visto andare al lavoro, si è preoccupato e ha cominciato a tempestarlo di telefonate: Il cellulare suonava insistentemente, ma a vuoto, nessuna risposta.
«Ma come? - si è chiesto Prinz, quasi sorridendo tra sé tanto la vicenda gli sembrava paradossale - Mio cugino, insieme alla sua donna, ha abbandonato solo da qualche giorno la miseria del campo di via Triboniano, si è trovato un appartamentino dignitoso qui insieme al cognato e alla sua compagna e adesso non viene al lavoro? Impossibile! È solo un manovale, deve mantenere anche la figlioletta che ha avuto dalla prima moglie e che vive in Romania con la madre..». Il ragazzo tenta di sorridere, di pensare a qualcosa di buffo per sdrammatizzare. Poi però si precipita in via Dante Alighieri, fa le scale con il cuore in gola per raggiungere l’abitazione al terzo piano, come animato da un improvviso malessere, da un brutto presentimento. Un’idea che prende forma compiuta dopo che raggiunge il pianerottolo e pigia più e più volte il campanello dell’ingresso. Quindi ancora una, due, tre chiamate sul telefonino di Elvis che Prinz sente squillare all’interno della casa. E a quel punto che sia successo qualcosa di brutto non può essere più solo una vacua sensazione.
Prinz corre dal padrone di casa, un marocchino, gli grida di consegnargli le chiavi di scorta, di fare in fretta che chissà cos’è successo in quell’appartamento. Quando finalmente riesce a entrare ci mette una manciata di attimi a comprendere che l’ambiente è cristalizzato in un immobilismo irreale, quello della morte. Elvis e Catalin sono a letto con le loro fidanzate, sembra che dormano, che stiamo per alzarsi. Ma per loro è finita, non c’è più nulla da fare, sono morti già da qualche ora anche se Prinz, disperato, tenta inutilmente di rianimare Elvis.
Sono le 15.20. Scatta l’allarme per il 118, per i vigili urbani, i carabinieri, per il pm della Procura di Milano Brunella Sardoni. E quando i pompieri raggiungono il balcone con la tenda a righe beige e spaccano i vetri per fare uscire il monossido, ci sono già giù in strada i carri funebri pronti a portar via le salme.
Via Dante è piena di romeni che urlano, di donne che tengono in braccio i loro piccoli e intanto gridano tutto il loro dolore, di uomini che minacciano i carabinieri quando li vedono portar fuori le salme dal palazzo nascoste da un lenzuolo per proteggerle dai fotografi e dalle telecamere. Un’attenzione fraintesa dai rom presenti che gridano furibondi: «fateci vedere i corpi, fateceli vedere o veniamo a prenderceli». I militari li tranquillizzano, i corpi senza vita raggiungono l’obitorio senza problemi.


«Vedi? Questa è una vera tragedia per questo piangono anche coloro che non li conoscevano: fa parte della nostra liturgia - scuote la testa Doran, 35 anni, romeno residente al campo di via Triboniano -: se il morto è giovane, è un morto che appartiene a tutti».

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