Quei fantastici anni Cinquanta con Lupo e De Ceresa al «Piccolo»

Quei fantastici anni Cinquanta con Lupo e De Ceresa al «Piccolo»

(...) Sandro Bolchi. Ebbene in questo scenario il lungimirante sindaco Pertusio (e il suo assessore alla cultura, l’indimenticabile professor Lazzaro Maria De Bernardis, democristiano di quelli tosti) di sostenere una nuova istituzione teatrale, per sostituire quell’antico ma suggestivo «Piccolo Teatro Eleonora Duse». Una struttura questa che nacque nel ’44, durò quattro anni (poi nel ’48 si aprì il «Teatro d’arte della città di Genova») e raccolse gli attori del «Teatro Sperimentale Pirandello», nato quando ancora infuriavano i bombardamenti della guerra. Fu un generoso e coraggioso banco di prova di alcuni registi come Giannino Galloni, Giulio Cesare Castello e attori dal grande futuro come Alberto Lupo, Elsa Albani e Ferruccio De Ceresa.
Dunque eccoci alla nascita del «Piccolo» di piazza Tommaseo. Rimane nella sede che fu del «Teatro Eleonora Duse», una sala in verità non grande, di circa trecento posti, data in affitto dall’Enal Credito Assicurazioni e Servizi Tributari. Nino Furia ne diventa direttore. E, nel giugno del ’51 convince Pertusio della bontà dell’iniziativa che dovrà (dice) proseguire la bella attività del teatro «Eleonora Duse», cercando nuove forze, nuove risorse, nuovi percorsi. Ma naturalmente, anche allora, la politica non voleva mancare e ci mise il suo becco: tutte le forze politiche erano, in verità, d’accordo su questa nascita, ma fu il capogruppo comunista Gelasio Adamoli (già alla ribalta) ad avanzare il timore che la scelta «poteva tarpare le ali ai giovani attori dell’Eleonora Duse». Fra quei giovani, naturalmente, erano i «comunisti» Galloni, Castello e altri.
Ma fu proprio il democristiano Lazzaro De Bernardis ad assicurare che nessuna ala sarebbe stata tarpata. E così la delibera passò e lo statuto del nuovo Teatro venne approvato nel febbraio del ’52.
Ma il debutto avvenne nel novembre dell’anno prima, con «Arlecchino servitore di due padroni», regia di Giannino Galloni. Accanto alla rinascita del teatro, dunque anche della cultura della città, nasceva pure una «critica teatrale» di notevole spessore. Fino ad allora i giornali scrivevano poco di teatro, erano attratti di più dal cinema e stava per affacciarsi anche la critica televisiva.
Ma con questa esplosione del teatro a Genova, anche i giornali portavano alla ribalta i loro critici, diventati in breve tempo, molto importanti e coccolati dai direttori dei vari teatri. Il «Secolo XIX» aveva come firma prestigiosa Carlo Marcello Rietmann, mentre il «Lavoro» aveva affidato la sua critica a Tullio Cicciarelli, e il «Mercantile» (che allora usciva di pomeriggio) ad Enrico Bassano (e come vice Giorgio Striglia). Cesco Ferro era il protagonista di «Arlecchino» e Rietmann scrisse su di lui: «Riuscì a mettere un fuoco nelle vene di Arlecchino».
Il critico lodava anche gli altri interpreti: Tino Bianchi, Anna Maria Bottini (bella donna, compagna di Tino), Daniele Chiapparino (che diverrà più avanti l’attore per eccellenza del teatro dialettale), Alberto Lupo (si stava facendo...) e Mila Vannucci.
Furono soprattutto gli attori genovesi che portarono al successo questo «Piccolo»: Lupo, Albani, De Ceresa tutti nati sotto la Lanterna, scoperti da Gian Maria Guglielmino in quel suo «sperimentale Pirandello».
Interessante anche il susseguirsi di direttore: già alla seconda stagione Nino Furia volle accanto sé Camillo Pilotto, attore affermato (di 64 anni) cresciuto alla scuola di Zacconi. Con lui i «pienoni» erano assicurati, il suo «Volpone» di Ben Jhonson fu un clamoroso successo. Ma in quel 1952 sale alla ribalta un’altre grande attrice che rimarrà per anni, come colonna portante, di quello che diventerà lo Stabile: Lina Volonghi. A trentasei anni debutta in «Piccoli borghesi» di Gorky con la regia di Galloni che nella stagione successiva diverrà direttore artistico (come si può notare anche allora i direttori venivano silurati di anno in anno, come gli allenatori di calcio...).
Il «Piccolo» di Tommaseo andò avanti fino al 1955: ci sarebbero altre mille storie da raccontare. Resta un dato: che il «Piccolo» costituì il primo momento teatrale «vero» di una città colpita dalla guerra e culturalmente alla ricerca di se stessa. Fu l’unico teatro in quegli anni che diede respiro culturale ai genovesi. Intorno erano solo macerie, con tutti gli altri distrutti, dal «Paganini», al «Margherita», dal «Genovese», al «Carlo Felice». Era Genova, come la definì Enrico Bassano, la «Stalingrado del teatro».
Fino al ’55 si combattè per avere finanziamenti, non mancavano scontri ideologici (con Adamoli sempre contro Pertusio), battaglie in consiglio comunale sostenute dall’«Unità» con Galloni (che era, guarda caso, direttore anche del Piccolo), circa i titoli in cartellone, tourneè fuori Genova. R icordano le cronache d’epoca che Lazzaro Maria De Bernardis chiese più volte aiuto a Giulio Andreotti (già allora molto importante quale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio) sotto forma di sovvenzioni. Ma anche allora (come oggi) Genova veniva sempre «dopo» altre città e altri teatri: le vennero assegnati in quel 1954 circa 12 milioni ma a Milano ne diedero 53 e a Roma 38, persino Padova ebbe di più, 18.
I tempi non sono cambiati.
Si arrivò dunque al 5 gennaio nel 1955, il «Piccolo» si trasferì nella moderna sede di via Bacigalupo, ampia, spaziosa, circa mille posti. Lì sarebbe nato lo Stabile di Genova e si sarebbe chiamato «Teatro Eleonora Duse». Venne eletto il nuovo consiglio: solo sei membri, presidente Giuseppe Mongiardino, un gentiluomo come sottolineò Enrico Bassano.
Ma ora ci voleva un direttore.

Il 5 agosto di quel 1955, in una infuocata seduta, lo votarono solo in quattro mentre gli altri indicarono l’attrice Emma Gramatica. La maggioranza preferì, all’ottantenne grandissima attrice, un giovane trentaquattrenne. Si chiamava Silvestro Ivo Chiesa.

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