Quei vincenti che stanno un passo indietro

Da Sancho Panza a Kit Carson: quando il vero eroe è quello che sta in disparte

I «secondi» sono soprattutto uomini. È una questione di carattere, nobiltà, fierezza. Fare il numero due non è mestiere per gente misera. Devi credere in te stesso. Non c’è invidia. Non ci sono frustrazioni. Sei il secondo perché pensi che lui, il protagonista, funzioni meglio lì, sul fronte del palco. E tu stai comodo un passo indietro, a giocarti l’Oscar da miglior attore non protagonista. Ci vuole coraggio per essere solo il secondo uomo sulla luna. Neil Armstrong fece il piccolo grande passo, lasciò l’orma. Buzz Aldrin testimoniò che era tutto vero.

Il numero due è un grande, che non ha paura di passeggiare all’ombra. È uno con i piedi per terra, che non si lascia corrompere dal male che ha visto. Quando Frodo, nel Signore degli anelli, si mette in viaggio sa che comunque vada la sua missione non troverà la contea come l’ha lasciata. È cambiato lui e il mondo che lo circonda. L’oscurità non è solo una parentesi, non permette il ritorno a ciò che c’era prima. L’oscurità ruba ai sopravvissuti e ai posteri i loro sogni, strappa il velo di Maja, frantuma le illusioni, cancella i ricordi idilliaci che ogni civiltà conserva in qualche cassetto della sua storia. Vedi svanire la vecchia campagna inglese e l’America dei padri fondatori, la Ville Lumière dell’Ottocento francese e le lucciole pasoliniane. Frodo non tornerà più a fumare l’erba pipa. Anche se continuerà a pensarci, come nei giorni della sua avventura, quando il desiderio di tornare a casa era la spinta a compiere la sua missione: distruggere ilmale perché tutto torni come prima. La contea, come l’abbiamo sognata, non esiste più e forse non è mai esistita. Frodo ha ancora bisogno di tutto il suo coraggio per vivere al tramonto di un’era che ha visto le utopie e le anti-utopie rincorrersi e cadere. Tutto questo con il sospetto che la distruzione dell’anello non sia servita a sciogliere i vecchi nodi. Frodo, il protagonista, alla fine sceglie la fuga. Sale sulla nave degli elfi. È il suo secondo che resta. Sam,il fidoSamche è salitocon lui a Gran Burrone, sceglie la contea, la moglie, la famiglia, la vita noiosa delle vecchie locande. Sam si dimostra più grande di Frodo, perché sa vivere anche senza l’avventura, sa ripiegare in un baule i panni dell’eroe.

I secondi sono uomini di buon senso. Non hanno crisi di nervi, sono stabili, non vivono di illusioni. È facile essere Don Chisciotte, lui vede cavalieri dove ci sono mulini a vento. E combatte. Ma provate a battevi come fa Sancho Panza, che i mulini li vede e sa che sono mulini,mava avanti lo stesso. Chisciotte è folgorato dal sogno, Sancho insegue i sogni, magari borbottando, pur sapendo che sono illusioni. È un eroe del disincanto. È l’umiltà di Giovanni, l’unico dei discepoli che non scappa e resiste sotto il Golgota, e quando Cristo risorge lascia che sia Pietro, il capo riconosciuto, a entrare per primo nel sepolcro vuoto. Giovanni, attende. Si ferma un passo dietro. È la grandezza di Mercuzio, che muore per Romeo, maledicendo la faida dei Montecchi e Capuleti. Mercuzio uomo di infinite facezie, che odia le guerre civili, tanto geniale, sbruffone, seducente, postmoderno da oscurare il protagonista. Tanto che Shakespeare lo deve uccidere per salvare il dramma, la melensastoria d’amore. I «secondi » tessono, sono gente di diplomazia, architetti della mediazione.

I «secondi» sanno ascoltare. Sono uno specchio, spesso muti come il servo di Zorro. Sono il prete, il confessore, lo psicologo, l’angelo custode. Qualche volta fingono di essere sciocchi. Il dottor Watson ha resistito a tutta la logica pedante di Sherlock Holmes. Kit Carson è un vecchio marpione che sa ridere di se stesso e del mondo, senza cadere nel puritanesimo di Tex. Aquila della Notte non ha mai smesso di prendersi sul serio. Yanez de Gomera, nobile portoghese, arriva a Mompracem quasi per caso, dopo aver vagabondando lungo tutti i mari del Sud. La sigaretta che pende dalla bocca e l’ironia come antitodo alle ingiustizie del mondo. Sandokan lo chiama «il mio regolatore». E il loro rapporto è la fotografia di tutti gli ingredienti che fanno la magia di un buon doppio. L’eroe sarà pure coraggioso, carismatico, geniale, ma non sarà mai capace di godersi la vita come il secondo. L’eroe si innamora, il secondo va a donne, fa divertire le ragazze di strada, di salotto e di bordello. L’eroe è malinconico, sull’orlo costante di una crisi di nervi, sente su di sé tutte le responsabilità del mondo. È tiranneggiato dalla sindrome di Atlante. Il secondo è uno zingaro.

È uno che tira le punizioni sotto l’incrocio, non sfarfalleggia di tacco, che poi se sbaglia si deprime. È Siniša Mihajlovic, l’ombra di Mancini. È Peter Fleming, l’unico in grado di convivere con il Genius senza farsi prendere a racchettate in testa. Fleming era la coscienza adulta di McEnroe.

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