Quel banchiere che piace a sinistra

Il distacco dalla politica era solo di facciata, una forma di retorica che alla fine gli si è ritorta contro. Le differenze con Bazoli e Passera, capaci di cambiare atteggiamento per fare sistema. Da sempre ha condiviso l'impostazione bancocentrica di Prodi

Quel banchiere che piace a sinistra

Forse non tutte le operazioni di ristrutturazione di Alessandro Profumo sono perfettamente riuscite, forse qualche socio ha provato nel tempo un qualche scoramento rispetto alla tanto conclamata operazione di creazione di valore, comunque l'Italia deve essere grata a un manager che con le acquisizioni tedesche e nell'Est europeo e con la fusione con Capitalia, al di là delle convenienze economiche della banca da lui guidata, ha fatto operazioni di rilevanza per il sistema Paese.

Detto questo c'è un elemento che colpisce in certe argomentazioni profumesche: la scarsa corrispondenza alla concretezza dei processi. Ora sì sa che nel gestire un potere così politico come quello di un grande gruppo bancario, il quale certamente ha bisogno di supermanagerialità, ma anche di intervento sui grandi processi in atto, si debba usare anche l'arma della retorica. Si comprende, perciò, che Profumo, proprio mentre era in fila per votare per qualche primaria dell'Ulivo, si ergesse a icona dell'antipolitica. Al di là della propaganda, il suo saldo legame con la «politica» era evidente: sia nella guerra alla Mediobanca di Vincenzo Maranghi sia nel contrasto ai tentativi prima di Vincenzo Visco poi di Giulio Tremonti di diminuire il ruolo delle fondazioni sul sistema bancario, Profumo seguiva l'impostazione bancocentrica di Romano Prodi, un'impostazione sostenuta da quel che restava dell'establishment economico-finanziario italiano.

Il fatto è che quando il blocco politico-economico prodiano crolla nel 2008, alcuni protagonisti del mondo bancario ne prendono atto. Pur mantenendo tutte le riserve sulla politica berlusconiana e continuando a impegnarsi in schermaglie su questo o quel fronte, tipo la resistenza all'assunzione di ruoli di leadership da parte di Domenico Siniscalco nel gruppo Intesa, protagonisti della finanza come Corrado Passera, Giovanni Bazoli e Giuseppe Guzzetti cambiano atteggiamenti e propaganda, e trovano intese con un Tremonti anche lui attento ai compromessi necessari. Profumo, che pure nei comportamenti specifici appare molto disponibile a manovrare, mantiene invece in vita un apparato retorico che non sta più molto in piedi. Affossa i Tremonti bond, finendo per far infuriare le fondazioni costrette a sottoscrivere forti aumenti di capitale, e intanto se lo Stato italiano resta fuori da piazza Cordusio, non lo restano questo o quel Land, questa o quella Regione, lo Stato libico. Oltre un certo grado le parole diventano pietre e ti portano a fondo, e se non sei in grado di dominare la tua retorica e ti fai dominare da questa, ci finisci più rapidamente.

Nessuno nega lo standing internazionale di Profumo e alcune difficoltà nel rimpiazzarlo, ma il suo affrontare le questioni concrete (il peso di tedeschi ingombranti come la Munich Re, il rapporto con le fondazioni post vittoria leghista, l'entrata dei libici in modo così massiccio nel capitale sociale) solo con la retorica del manager libero e bello, era assai difficile, praticamente impossibile. Alla fine il più leale interlocutore di Profumo è rimasto il ministro dell'Economia, mosso da visioni generali e non da pure simpatie personali.

E chissà se constatando questa situazione, assistendo scoraggiato alle difficoltà del ministero di via XX Settembre di assicurargli il necessario appoggio, l'amministratore delegato uscente di Unicredit, non abbia avuto più di qualche dubbio sulla maledetta retorica che lo aveva spinto, qualche tempo fa, a non utilizzare i Tremonti bond.

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