Ha aiutato il governo o lo ha criticato? È con la maggioranza o con l'opposizione? E i ballottaggi? Come guarda ai ballottaggi? Ecco tutte le domande scioccherelle, noiose, figlie di terribile pigrizia intellettuale, che ieri circolavano attorno alla relazione di Emma Marcegaglia. Questioni che nascono da un nostro vizio antico, quello di leggere tutto in una chiave direttamente politica, con la conseguenza, paradossale, di travisare e intasare il vero dibattito politico e così renderlo poco leggibile. E se provassimo a dire che non c'importa niente di come vota Emma Marcegaglia? E se provassimo a risparmiarci la fatica di leggere tra le righe della sua relazione alla ricerca di chissà quali frecciate o di chissà quali fini ragionamenti politici?
Non ha smosso simpatie verso la maggioranza nella sua fase iniziale in cui era accusata (non si capisce bene da chi) di essere troppo filo-governativa, non ne smuoverà ora che invece viene indicata (anche in questo caso non è chiarissimo da parte di chi) di essersi arruolata tra gli oppositori. Che poi tutta questa fatica inutile ne genera altrettanta: uno legge le parole studiatissime della relazione e capisce subito che dietro ci sono notti insonni di collaboratori, litigate su qualche virgola, discussioni su un termine. Ma non vi state tanto a preoccupare, verrebbe da dire. E pensate piuttosto ad altro.
Le domande cui rispondere non sono quelle riportate qualche riga sopra, le domande dovrebbero essere altre. Nella relazione, particolarmente quando è l'ultima di un mandato presidenziale, ci si dovrebbe chiedere se si è fatto abbastanza per il proprio mondo di riferimento, per le imprese, per il mercato. Non se si è chiesto abbastanza o se si è criticato abbastanza, ma se si è fatto abbastanza. C'è una sostanziale differenza.
E invece no, la solita pappa politica condita con la minaccia di una specie di super discesa in campo collettiva. Una cosa un po' puerile, un «vi facciamo vedere noi» ingenuo e mal presentato: se fosse una cosa seria sarebbe alla fine di una relazione, così buttato lì? No, non è una cosa seria. È un diversivo.
Criticata, al suo interno, per l'organizzazione ormai troppo costosa e mastodontica; sotto pressione per l'abbandono, semplicemente affidato ai suoi tempi naturali ma per nulla smentito, da parte della Fiat: a Confindustria resta solo la politica. Niente da fare neanche sui vari fronti interni, anche perché non ci si può criticare e scontrare all'interno della stessa associazione (almeno non si può farlo in pubblico) e si è costretti a conciliare, nel silenzio, i contrasti micidiali tra le varie parti del sistema produttivo. Tra il largo consumo e la grande distribuzione, tra tutti e le aziende energetiche, tra quasi tutti e il sistema della logistica, tra quasi tutti e il mondo del credito.
Insomma, se non si può parlare di questi problemi e se incombono critiche (e allusioni a una specie di «casta confindustriale») e abbandoni traumatici resta solo il fantoccio polemico classico di chi in Italia la butta un po' sul generico: la politica, che non decide e che non realizza ciò che promette. E, in subordine, resta qualche super-classico attacco alla burocrazia opprimente e al fisco. E figuriamoci se non c'è, tuttora, un problema di adempimenti eccessivi e di oppressione burocratica. Gli associati, quando agiscono da imprenditori, ne sanno qualcosa e più di qualcosa.
Ma l'associazione, prima di parlarne, dovrebbe porsi qualche domanda sulla burocratizzazione al proprio interno. E dare magari un buon esempio.E intanto sembra che la vera manifestazione dell'orgoglio industriale sarà quella di oggi in Veneto. Con meno fuffa ma molta più attenzione al mondo produttivo.
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