Ad accorgersi dell’esplosione, nella notte tra mercoledì e giovedì (erano passate le 3 da qualche minuto) sono stati il custode e gli uomini della sicurezza dell’università Bocconi. Ed è sempre grazie a loro che si è messo in moto il meccanismo che ha portato gli investigatori della Digos (avvertiti solo ieri mattina) a capire che si trattava di un attentato dinamitardo. Per tutta la notte, infatti, i poliziotti del commissariato Ticinese giunti per primi sul posto dopo la chiamata del custode al 113, hanno oscillato tra l’ipotesi di un grosso cortocircuito e qualcosa d’altro. E anche se, a un certo punto, hanno avvertito gli artificieri, si sono ben guardati dall’informare l’ufficio politico dell’accaduto. Segno evidente che, nonostante gli artificieri avessero trovato residui di dinamite, qualcuno che abbia creduto seriamente all’ipotesi di una bomba al punto da chiamare la Digos sul posto, non c’è stato.
«Ho sentito un rumore violento, un botto terribile che arrivava dal corridoio che collega via Bocconi 8 a via Sarfatti - ha spiegato il custode - Ho chiamato subito il 113. Quasi subito è giunta la volantina del commissariato Ticinese. I poliziotti, davanti ai calcinacci e al buco provocati dall’esplosione, si sono consultati molto tra loro, poi hanno avvertito gli artificieri. Sono loro che hanno spiegato che da quel pacco contenente il tubo riempito di materiale esplosivo e inserito in un’intercapedine fra lo sgabuzzino e il corridoio sotterraneo che collega i due edifici dell’università, c’era dell’esplosivo. Insomma, qualcosa di molto più serio di quanto non si fosse pensato in un primo momento. E per fortuna che quell’ordigno non l’hanno messo di mattina: la Bocconi, tra studenti e docenti, conta circa 15mila persone. Il corridoio tra via Bocconi 8 e via Sarfatti è molto frequentato. E quella bomba avrebbe ucciso tanta gente». Insomma: si trattava di qualcosa di molto più grave di un cortocircuito. Qualcosa per cui già stamattina gli investigatori della Digos diretti da Bruno Megale potrebbero consegnare una relazione in Procura.
Il rettore Guido Tabellini, invece, minimizza. «Non potevano esserci danni alle persone - ha dichiarato. L’addetto alla sicurezza è andato a vedere e ha rinvenuto i segni di una piccola esplosione, tanto piccola che all’inizio si è pensato a un corto circuito.
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