Quella curiosità filosofica che gira a vuoto

Ho letto il libro La lezione delle cose di Stéphane Ferret (Ponte alle Grazie, pagg. 160, euro 14). Il sottotitolo promette «un’iniziazione alla filosofia». Ferret non è un filosofo famoso. Francese, laureato in Inghilterra e poi specializzato alla Sorbona, con questo libro ha scelto la via della divulgazione. Vuole comunicare al popolo bue il senso di una materia che ritiene in mano agli «imbalsamatori» mentre invece fa parte di un atteggiamento naturale di ogni uomo: quello di porsi domande che vanno oltre il perimetro delle conoscenze specifiche.
L’esperienza suggerisce sempre queste domande. Le domande di Ferret sono del tipo «potremmo essere dei cervelli in una vasca?», «l’uomo può essere il burattino del suo cervello?». Anch’io da piccolo mi chiedevo se, chiudendo gli occhi, tutto scompare oppure continua a esistere in modo fraudolento. Insomma, ci descrive l’attività della ragione come il più sano dei passatempi, il più naturale: come il ramo mette le foglie, così noi cerchiamo risposte alle nostre domande - nate dallo stupore per l’esistenza delle cose - anche se sappiamo già che non ci sono risposte.
Il fatto che non esistano risposte alle questioni filosofiche è, per Ferret, fuori discussione, e quindi di per sé non è una questione filosofica. Ma è davvero così che l’uomo affronta il tema della conoscenza? O non è questo, piuttosto, un modo di allontanare «simpaticamente» il lettore dalla natura del pensiero, che è molto più drammatica? Lo stupore dell’esistenza è sicuramente un elemento da cui parte il pensiero, ma senza lo scandalo del nostro nulla, che alimenta il grido dell’intelligenza («chi sono io?», «perché esisto?»), la curiosità gira a vuoto.
Non è un caso che tutta la filosofia cristiana, da Agostino alla Scolastica all’età moderna, venga saltata a piè pari da questo scrittore, come se non fosse mai esistita. Cos’ha da nascondere un pensiero che mette tra parentesi mille anni della sua storia? Qual è la sua vergogna? Il guaio è che, mentre ci lamentiamo perché non funziona niente (scuola, lavoro, rapporti sociali, valori ecc.

), continuiamo a considerare maestri coloro che, seguendo l’onda generale, ci spingono nella direzione della distruzione. Alla fine si esce dal libro con una gran voglia di incontrare qualche vero bastian contrario, che ci metta in vera difficoltà, obbligandoci - diversamente da Ferret - a tirar fuori ciò che siamo.

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