Quella gioia di tornare tribù che scappa dalle tecnologie

Internet, gli iPod, i download hanno avvicinato le persone ma eliminato l’allegria di stare insieme. E per trovarla i ragazzi sono disposti a tutto

A molti verrà spontaneo attribuire la disgrazia avvenuta in Germania - oltre che alla disorganizzazione e alla sfortuna - all'entusiasmo giovanile di quei ragazzi che, pur di sentire un concerto, si accalcano a centinaia di migliaia in un luogo stabilito. Si parlerà anche di solitudine dei giovani, del loro isolamento davanti a un computer e della conseguente voglia, quando capita, di raggrupparsi in masse tanto più suggestive quanto più vaste.

Può darsi sia così, ma che differenza c'è con una partita di calcio? Per quel che ne so, vedere Inter-Milan o una gara della nazionale in televisione è molto più comodo che vederla allo stadio. A parte il piacere della propria casa e del proprio divano, decine di telecamere ti fanno seguire nei dettagli ogni particolare dell'azione. É vero, si perde la visione d'insieme, del campo e della folla, ma vuoi mettere il vantaggio dei replay, della moviola, delle angolazioni diverse, dei commenti (oddio, non sempre eccelsi) di giornalisti specializzati?
Eppure centinaia di milioni di individui adulti, in tutto il mondo, non rinunciano al piacere di spostarsi da casa, affrontare il caos del traffico e il disagio del posteggio, il pagamento a caro prezzzo di un biglietto e la calca più in piedi che seduti, pur di sentirsi parte del rito agonistico, di «esserci», componente superflua ma essenziale del gioco.

Lo stesso vale per i megaconcerti che da Woodstock in poi (rimpiango ancora di non esserci stato) abbacinano i ragazzi. Se aveva un senso, allora, accorrere in un luogo dove era possibile ascoltare a volume altissimo gruppi che non era altrimenti possibile ascoltare tutti insieme, questo senso oggi è del tutto perduto. La tecnologia - internet, i download, gli ipod, riproduttori stereo sempre più capaci di riprodurre suoni nella potenza e nella purezza del vero - potrebbero permettere di ricostruirsi, inventarsi, qualsiasi concerto nella propria camera, e di sentirselo a volume inesistente in natura attraverso le cuffie. Magari accompagnandosi sullo schermo con le immagini a scorrimento dei propri cantanti preferiti, o con visioni psicadeliche che il computer adatta alla musica. Il tutto gratis, o quasi. Che si può desiderare di più?

Di più si può desiderare, e lo si desidera voluttuosamente, irrinunciabilmente: essere con gli altri, sentirsi parte di una massa che vive con lo stesso entusiasmo il medesimo rito; moltiplicare se stessi attraverso la vicinanza, la comunanza con centinaia di migliaia di altri.

Nessuna partita alla televisione potrà mai darti la sensazione di trionfo collettivo, di appartenenza, di vittoria tribale che ti potrà dare un GOOOL!!! urlato all'unisono insieme a altre cinquantamila voci. Lo stesso, molto semplicemente, vale per un concerto rock, per i ragazzi che amano quella musica come e più del calcio.

L'origine, certo, è sempre la solita: la voglia di fuga dall'isolamento cui la tecnologia ti costringe, insieme a tutti i vantaggi che ti dà. La gioia di tornare tribù, gruppo, branco, folla oceanica, di condividere gli entusiasmi non solo nell'astrattezza dell'isolamento, ma nella concretezza del sudore, del gomito, delle espressioni, dei colori altrui.

É, in grande, il contrario quel che deve capitare ai proprietari di grandi barche, fieri e felici di stare lontani dal volgo basso che si accalca sulle spiagge, a stretto contatto di ombrelloni e sdraio, di bambini bercianti, di schizzi di sabbia e d'acqua altrui. Che piacere dev'essere per loro vedere tutto ciò da lontano, stazionando a debita distanza in acque limpide, nel silenzio assoluto, e magari inondando le spiagge con i liquami dei loro rifiuti organici, dei loro avanzi di cibo.

Sarà così. Anzi lo è senz'altro. Ma quei poveri ricchi devono rinunciare al rito collettivo del «guarda quella» e del «guarda quell'altro», ai pettegolezzi sui vicini, al suggerimento e al passaggio di creme e esperienze, alla speranza di nuove amicizie, al sogno di amori che ti camminano davanti e che forse potrai inseguire, sulla battigia, fino a ottenere un appuntamento - quello sì - davvero isolato.

É un sogno che accomunava anche tanti di quei ragazzi al concerto.

Non erano né fanatici, né - per lo più - impasticcati o chi sa cos'altro: cercavano di non guardare la partita da soli, sulla solita poltrona, di non navigare isolati, come ricconi. Cercavano l'allegria di essere insieme. Anche per questo meritano una nostra tenerezza non sentenziosamente giudicante.
www.giordanobrunoguerri.it

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