Quella nuvola di polvere chiude un’era

Amarcord di una Fiera che ha segnato un seocolo di storia milanese. Nel 1916 l'idea di un gruppo di commercianti e un capitale di 13 lire e 92 centesimi

Quella nuvola 
di polvere 
chiude un’era

Tredici lire e 92 centesimi: tanto era il capitale di quel gruppo di coraggiosi commercianti che nel 1916, in piena guerra mondiale, ebbero la folle idea di una Fiera campionaria annuale, di una vetrina specifica e privilegiata per i prodotti del made in Milan e dintorni. Una piccola somma che si irrobustì rapidamente perché la prima Fiera, che debuttò il 12 aprile 1920 sui bastioni di Porta Venezia, costò oltre centomila lire. Ma fu subito chiaro, in quelle due settimane iniziali (si chiuse il 27) che quella lunga fila di stand e baracche era il filtro e la condensa dell’ottimismo milanese d’inizio Novecento. Quello classico meneghino, destinato ad accumulare, con pazienza e perizia, successo su successo.

Bastarono tre edizioni per capire che quella fiducia tutta ambrosiana altro non era che un universo in rapida espansione. I bastioni di Porta Venezia non bastarono più. Il fermento delle idee, dell’industria e dei commerci richiedeva spazi adeguati, edifici stabili e innovativi, coraggiosi dal punto di vista architettonico, anche per consentire la specializzazione delle diverse tipologie espositive. Occorreva una città nella città. E quella del vecchio campo militare - un’area che già aveva ospitato l’Esposizione internazionale del Sempione, nel 1906 - sembrò la scelta giusta. Nel 1923 la nuova, grande industria italiana conquistava così la vecchia piazza d’Armi. La strategia della Campionaria poteva contare ora su una sede propria, dove continuare la sua orgogliosa e proficua avventura. Simbolo di quell’anno era l’imponente Palazzo dello Sport di Paolo Vietti Violi, nel 1927 ci sarà il padiglione dell’industria grafica e libraria realizzato da Gio Ponti ed Emilio Lancia, e così via, tra continue progettazioni e trasformazioni.

L’identikit della crescita emerge bene da alcune cifre di mezzo secolo fa: nel 1958 la Fiera aveva una superficie di oltre 400mila metri quadrati, il fronte espositivo era di 67 chilometri (contro i 4 della prima edizione) e i visitatori erano stati poco meno di 4 milioni e mezzo. Insomma, dal periodo dell’autarchia, della guerra (molti i danni) e del dopoguerra, la Campionaria era uscita più forte e più grande. E sempre più internazionale: in quello stesso anno gli espositori stranieri erano stati 3.378, in testa i tedeschi occidentali (1.161) seguiti dagli americani (621). Ma la Fiera, complici anche gli anni del miracolo economico, è stata per i giovani, milanesi e non, metafora del mondo e filigrana di sogni. In mostra non c’erano solo prodotti ma anche emozioni, simboli, desideri. La prima globalizzazione la si incontrava al Palazzo delle Nazioni: l’edificio in cristallo di Angelo Maria Bianchetti e Cesare Pea, costruito nel 1947, ospitava i Paesi esteri. Era una tappa obbligata per fare incetta di depliant, oggettini, souvenir, bandierine. Bastava una busta da riempire per conquistare il mondo (e per fare bene le ricerche di geografia). Tra i ragazzi si faceva a gara per trovare gli omaggi più belli, come le prime coloratissime bottiglie di plastica o le golosità più invitanti e accessibili, i gelati della Centrale del latte

. La giornata in Fiera era un ruotare lungo l’asse del viale delle Nazioni, un ritmare frenetico di passi per non perdere nulla delle curiosità della tecnica, delle invenzioni della meccanica che disegnavano l’imponente padiglione di Melchiorre Bega, costruito nel 1969, o primi successi della chimica. Tra lo svettare delle gru dell’Edilizia e i ricchi gadget dell’Agricoltura (padiglione di Ignazio Gardella, 1956), tra il viale del Lavoro e quello della Tecnica, c’era solo il tempo per un provvidenziale picnic. Si usciva stravolti e stracarichi. Quella Fiera, città nella città, non c’è più.

L’ultimo padiglione è caduto ieri sotto i colpi calibrati di tante piccole cariche di esplosivo. Tutto è finito in una sorprendente nuvola di polvere che richiamava sinistri scenari bellici. Eppure mai piazza d’Armi ha ospitato una guerra così vittoriosa.

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