Quello che vorremmo sapere

Voler conoscere la verità su tutta la vicenda della liberazione di Daniele Mastrogiacomo, sullo sgozzamento di Adjmal, suo interprete, e su Ramatullah Hanefi, capo della sicurezza di Emergency, non significa voler strumentalizzare un bel niente né venire meno alla dovuta pietà e al dovuto silenzio che una morte così tragica impongono. Significa solo rispettare un diritto, quello alla verità su tutta la vicenda. Diritto dei familiari della vittima, dei cittadini afghani, di noi tutti i cittadini italiani che, ormai, in questa vicenda non ci stanno capendo più un bel niente.

E intendiamoci subito. Noi non siamo di quelli che ritengono che quando avvengono liberazioni di questo tipo, soprattutto con l'opera dei servizi segreti, vogliono sapere tutto a tutti i costi andando contro alla logica e al buon senso prima che alla politica e alla morale. Perché delle due l'una: o i servizi sono segreti, dispongono di fondi che possono utilizzare senza bisogno di rendicontazione e sono coperti dal segreto di Stato e, prima di tutto, godono della fiducia dello Stato stesso, oppure no. Si decide che non sia così. Che siano inutili. Che vadano smantellati. Oppure che devono essere segreti ma che tutti debbano sapere tutto: in Italia c'è qualcuno che, grossomodo, la pensa così anche se non lo dice.

Non ci sono vie di mezzo, nel mezzo c'è della gran confusione. Detto questo, che non è tuttavia assolutamente marginale - vista la discussione italiana di questi ultimi tempi - almeno dal caso Calipari in poi, la vicenda Mastrogiacomo-Adjmal-Hanefi si è svolta, è stata raccontata e continua a suscitare perplessità non indifferenti e dubbi nei quali non è agevole stare. E questa vicenda non è stata gestita in prima persona dai servizi. Almeno così è stato detto. Tutti sapevamo, almeno così ci era stato detto, che la vicenda era stata affidata alla trattativa di Gino Strada, il fondatore e leader di Emergency, una delle organizzazioni che gestiscono ospedali ove si curano le vittime delle guerre. Il presidente Karzai ci ha fatto sapere che il rilascio dei talebani, in cambio della liberazione del giornalista Mastrogiacomo, fu attuato solo perché Prodi in persona lo avrebbe autorizzato a farlo, anzi gli avrebbe chiesto di farlo perché altrimenti sarebbe caduto il governo da lui presieduto. Il ministro degli Esteri D'Alema ci aveva detto che il governo italiano avrebbe solo consegnato un elenco di talebani da liberare e che il governo presieduto da Karzai avrebbe deciso da solo. Gino Strada, ieri, ci fa sapere che la decisione di trattare con i talebani l'aveva presa il governo italiano e non lui, ovviamente. E ancora Strada afferma che Prodi e Karzai sono responsabili della carcerazione di Hanefi, il capo della sicurezza di Emergency. Qui non vogliamo formulare ipotesi. Non vogliamo neanche attribuire colpe a uno piuttosto che ad un altro.

Vogliamo solo ribadire che è scaduto il

tempo perché veniamo a conoscenza della verità. O, almeno, che Gino Strada e Romano Prodi (magari con l'aiuto di D'Alema) ci diano una versione. E non tre. Chiediamo troppo? Forse sì. Chissà quanta strada ci spetta ancora

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