Morbosi o malati, o anche, nel loro distacco puritano, vagamente autistici. Lallergia alle sfumature che li caratterizza denuncia la loro estraneità alla décadence europea. La loro follia è un portato del susseguirsi di banalità e delirio, idiozia e saggezza, in un pendolo rilanciato dalla più desultoria delle età, ladolescenza.
Sono i nuovi pionieri, solo che la frontiera, stavolta, è lItalia. Avanguardie del popolo americano, i personaggi-fantasma di Giovanni Martini (il nome dellautore è uno pseudonimo, e cela lidentità di uno scrittore che preferisce rimanere nellombra) danno limpressione di volersi sostituire a noi. Membri di una middle class pencolante sulle varie declinazioni dellanormalità - voyeurismi, tare mentali, perversioni alimentari, autodistruttività - riempiono i racconti perturbanti e tirati a lucido di La nostra presenza (Fazi, pagg. 109, euro 12); racconti che una volta su due possono dirsi riusciti, anche se in gloria di unArcadia che non è la nostra.
Martini fa parlare in italiano delle menti americane. E in questo non ci sarebbe nulla di male, non fosse che le due culture separate dallAtlantico, nel caso della pagina scritta, si scoprono più lontane di quanto non siano nella vita quotidiana. Sicché si rischia la giustapposizione, o il grumo. «Accanto al fiume era la capanna». «Letichetta era frontale al muro». Cosa sono questi tic se non lequivalente grammaticale di un berretto da baseball cucito con lorganza? Nel secondo racconto un sessantenne ha una moglie che vorrebbe pattinare sui marmi dello stadio Olimpico, a Roma; ma lo stesso uomo ha baciato la prima volta in un drive-in, ascoltando una canzone di Elvis. In altre parole si tratta di ricordi posticci, come nel caso dei replicanti di Ridley Scott.
Di fronte a queste opere, che di volta in volta sembrano pessime traduzioni dallinglese di ottimi libri, il tentativo di mimare lamerican way of life fin nella sintassi o degli spiritosi «falsi dautore» (la pregnante formula è di Tullio Avoledo, che se ne è servito per definire il suo ultimo romanzo) si rimane indecisi, come se non si sapesse scegliere tra il dispetto per tanto provincialismo, la rinuncia a scandalizzarsi (ché tanto ormai con la mondializzazione e la Weltliteratur realizzata non ha senso chiedere il passaporto ai personaggi letterari) o lapostrofe con cui al tempo della Guerra fredda i tedeschi dellOvest troncavano la conversazione con quelli che si lamentavano troppo del sistema capitalistico: va dallaltra parte! (cioè dallaltra parte del Muro).
Possiamo augurarci almeno che prima o poi gli scrittori italiani passino dalla fase delle interferenze a quella del grande metabolismo planetario? Quello di Nabokov e di Rushdie, per intenderci.
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