QUESTA RAI NON SA CHE VUOL DIRE SERVIZIO PUBBLICO

Potremmo liquidarla così: un conto è criticare il governo con un editoriale o con un’opinione espressa durante un talkshow o un’inchiesta, un altro conto, il governo, è attaccarlo - verbo usato da Silvio Berlusconi - mettendo in sequenza negativa i primi quattro titoli di apertura del Tg3, notiziario che qualche obiettività dovrebbe perlomeno fingerla. Neanche troppo, in fondo: basterebbe che accennasse un’obiettività perlomeno formale come già fanno Tg1 e Tg2, telegiornali che sono lottizzati e di parte anche loro, come no, ma per qualche regola non scritta non si permettono mai le tonalità che il Tg3 della scuola Guglielmi-Curzi ostenta ormai da almeno una ventina d’anni: quella gravità seriosa, cioè, che i conduttori alternano ad atmosfere millenaristiche, come se l’Armata rossa fosse perennemente alle porte di Trieste. Potremmo liquidarla così, si diceva: ma a che servirebbe? E a che servirebbe rimettersi a polemizzare con arnesi come l’Usigrai, questi morti che camminano in un Paese che non esiste più? Il problema vero lo conosciamo tutti e però tutti lo tacciono per motivi diversi, lo tace la sinistra, lo tace la destra, lo taceva Aldo Grasso in un articolo sul Corriere della Sera che ieri metteva in fila tutti gli addendi ma poi non aveva il coraggio di tirare la somma. Primo addendo, con nostra libera traduzione: la Rai è orrendamente lottizzata, peggio che mai, i partiti attuali sono anche più famelici di quelli vecchi e al serbatoio di potere di Viale Mazzini non hanno nessuna voglia di rinunciare. Secondo addendo: la Rai è qualcosa di unico al mondo, è una commistione impossibile tra servizio pubblico e competizione sugli ascolti, un ossimoro che rende insufficiente il servizio pubblico in senso stretto (scarso o relegato a orari impossibili) ed economicamente gravosissima, a spese nostre, la sua concorrenza con reti commerciali che spendono assai di meno per esiti più o meno analoghi. Terzo: il satellite, il digitale terrestre e internet sono ormai una realtà, e la Rai si avvia a essere una tv fra le tante. Il quarto addendo e perfettamente riassumibile in una domanda formulata da Aldo Grasso: «Ma allora, che cosa significa oggi il servizio pubblico e qual è il suo mandato? Ha ancora senso tenere in piedi una struttura elefantiaca per garantire il godimento di un bene ormai frantumato e fornito da altri? Perché pagare un canone?» La risposta - quella vera - in verità sarebbe questa: no, non ha senso, e non c’è nessuna ragione di pagare un canone se non il proposito di tenere in piedi la medesima struttura elefantiaca; la Rai andrebbe privatizzata al cento per cento o in alternativa dovrebbe fare servizio pubblico al cento per cento.
Parentesi: l’altra notte, sui Raitre, è andata in onda un’inchiesta sui vari decreti-flussi per gli immigrati (eufemismi per non chiamare col loro nome le sanatorie) e venivano fatti a pezzi sia il centrodestra che il centrosinistra: giornalismo con le contropalle, ben fatto, rigoroso, esaustivo, una critica assai più giustificata e documentata di qualsiasi sequenza di titoli del Tg3: perché diavolo deve andare in onda in una notte d’agosto, per esempio? Chiusa parentesi.
Dopodiché diciamo questo: nessuno in Italia ha il coraggio di affrontare seriamente il bubbone Rai, ma nessuno proprio: non questi partiti, non un potere che non riformerà la Rai perché la Rai è il potere, l’unico che non è mai sostanzialmente cambiato - assieme a quello della magistratura - rispetto alla famigerata Prima repubblica.
Aldo Grasso una sua soluzione ce l’ha, perciò elogia e ipotizza «un’informazione che, insieme alla qualità dei contenuti e alla qualità dell’audience, è uno dei baluardi irrinunciabili di una concezione moderna del servizio pubblico. Il suo compito è assicurare il pluralismo e, possibilmente, l’obiettività, prendere le distanze dal potere politico, nell’elogio e nella critica, garantire la rappresentanza delle minoranze. La strada è una sola: quella dell’autorevolezza.

Il direttore generale, i direttori delle reti e dei tg non dovrebbero più essere scelti in base alla loro appartenenza politica ma alla correttezza professionale. Non sono i sondaggi a dirlo, ma il buon senso». Grazie, professor Grasso: non ci avevamo pensato. Probabile che la Rai la contatti per chiedere lumi su questo buon senso: di che partito è?

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