Questo Occidente che disprezza la sua libertà

Ecco perché dietro la "cancel culture" si nasconde una nuova intolleranza ancor più aggressiva. E pericolosa

Questo Occidente che disprezza la sua libertà

Se tra i firmatari dell'ormai celebre manifesto apparso su Harper's Magazine figurano alcuni dei nomi più noti e prestigiosi dell'intellighenzia progressista (da Noam Chomsky a Margaret Atwood, solo per fare due nomi) è perché ormai in molti, anche a sinistra, stanno iniziando ad avvertire quanto il clima si stia facendo pesante e quanto il politicamente corretto stia un po' alla volta chiudendo ogni possibilità di libera espressione nel momento in cui si fa pure «cancel culture», così da costruire una nuova intolleranza e un conformismo ancor più aggressivo di quelli che si conoscevano in passato.

In fondo, tutti sappiamo bene perché nei decenni scorsi il «politically correct» è venuto alla luce e s'è imposto. Sotto certi aspetti, anche se poi è spesso degenerato in ridicolaggini e norme illiberali, esso prendeva luce dalla constatazione ragionevole che il nostro linguaggio deve essere rispettoso. All'origine vi è quella buona educazione che ogni civiltà deve coltivare, perché ognuno ha diritto alle proprie idee, ma non è bene che si usino formule offensive verso chi ha differenti origini etniche, preferenze sessuali, idee politiche...

Come sottolinea lo psicologo Jordan Peterson, all'origine della nuova aggressività della cultura di Sinistra che oggi sta contestando la stessa libertà di parola c'è una forma di tribalismo che vuole opporre gruppo a gruppo. Entro questa visione della società non abbiamo più individui liberi con proprie opinioni che si confrontano, ma solo collettività forti determinate a imporsi sulla scena pubblica ai danni di altre collettività più deboli. Ed ecco che questo spirito rivoluzionario nutrito di post-modernismo sposa taluni gruppi per avversarne altri: i neri contro i bianchi, gli omosessuali contro gli eterosessuali, e via dicendo.

Il manifesto di Harper's Magazine ha sottolineato soprattutto come oggi ci siano intellettuali che stanno subendo gravi conseguenze per il semplice fatto di avere citato alcuni testi o per avere sostenuto tesi minoritarie, e «il risultato è che si sta restringendo l'ambito di ciò che può essere detto senza subire la minaccia di una rappresaglia». La reazione di Chomsky&co. è comprensibile, ma non coglie il punto cruciale, perché per replicare alla «cancel culture» bisogna interrogarsi su ciò che sta alla base della crisi della nostra società.

Sotto vari punti di vista, c'è davvero qualcosa di profondamente occidentale nelle ragioni che sono all'origine di questo movimento che non soltanto abbatte statue e vuole riscrivere la Storia, ma pratica l'intolleranza e l'intimidazione. In particolare, se è vero che questa rivolta muove dal rigetto di ogni razzismo o intolleranza, beh, poche cose sono più occidentali della volontà di superare i recinti, etnici o di altro tipo, per vedere in ogni persona un essere umano e nient'altro. Se oggi proviamo orrore dinanzi al fatto che alcuni dei Padri Fondatori degli Stati Uniti avessero schiavi e se ci scandalizzano talune affermazioni di Abraham Lincoln o Churchill, è perché nel corso dei secoli da noi si è affermata una certa idea della dignità umana, anche grazie all'eredità cristiana.

D'altra parte, è la civiltà di tradizione europea che negli ultimi secoli ha progressivamente dissolto ogni legittimità della schiavitù (che in precedenza era praticata in tutti i continenti), dell'intolleranza religiosa, del maschilismo... Nel XVI secolo il domenicano Bartolomé de Las Casas sposa le ragioni e i diritti degli indios contro il colonialismo criminale della sua patria, la Spagna, e quello è solo il primo di una lunga serie di episodi che vedono britannici come William Wilberforce e Herbert Spencer combattere la schiavitù e l'imperialismo di Londra, francesi come Frédéric Bastiat criticare l'occupazione dell'Algeria, e via dicendo. La storia del liberalismo è al cuore della nostra tradizione proprio per questa valorizzazione di ogni essere umano.

L'Occidente, però, è anche altro. Quando Peterson si sofferma sulle radici della nuova intolleranza totalitaria non a caso egli evoca il post-modernismo ed evidenzia, al tempo stesso, come in esso sia cruciale una certa riformulazione di temi marxisti. C'è infatti un Occidente che si odia, che detesta la libertà di mercato e il pluralismo, che ha orrore per i diritti dei singoli e la coesistenza di orizzonti di vita differenti. In fondo, il relativismo radicale dei pensatori postmoderni persuasi che non vi sia alcuna verità è qualcosa che viene dalla nostra Storia: anche se è una Storia che, per tante ragioni, non ci deve piacere.

Le ricadute di tutto ciò sono tremende e le vediamo anche da noi. In Italia si sta discutendo una legge sulla discriminazione di gay e omosessuali che rischia di impedirci di disporre di noi come vorremmo. Non a caso questa iniziativa va a modificare la «legge Mancino»: ossia un testo che già minava la libertà di espressione, focalizzando l'attenzione su quanti hanno idee politiche estremiste. Quello fu un autentico passo indietro per l'Europa che aveva creduto nella tolleranza, e il risultato è che non solo si va restringendo la libertà di parola, ma anche la possibilità di disporre come si vuole della propria vita: assumendo un maschio invece che una femmina, un arabo invece che un ebreo, un cinese invece che un nero. Sembra sfuggire a molti che una cosa è aggredire il prossimo e altra cosa è preferirgli un'altra persona. Ma proprio perché nessuno può essere aggredito, per lo stesso motivo nessuno ha diritto a disporre dei beni e della libertà di altri. E vivere è scegliere, decidere, prendere una strada al posto di un'altra.

Nella logica di questo nuovo spirito autoritario, moralistico e tribale, ogni cosa alla fine risulta collettivizzata da normative onnipresenti: così

che tutto deve essere gestito secondo criteri fissati per legge. L'Occidente che si odia e che disprezza le proprie radici liberali finisce per prevalere, così, su quanto abbiamo di nobile e di grande alle nostre spalle.

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